In Brasile la società civile scende in massa contro il presidente Dilma Rousseff, chiedendone l’impeachment a causa della corruzione galoppante dentro la compagnia statale petrolifera Petrobras, da lei guidata dal 2003 al 2010.
Le proteste vanno avanti da settimane.
Facciamo un passo indietro. Durante il tempo della sua campagna elettorale, Dilma promise che avrebbe usato la nascente ricchezza petrolifera per la crescita del paese e che non ci sarebbero stati sperperi e corruzioni come in altri paesi in via di sviluppo. Era un tempo di entusiasmo e di possibilità illimitate: da pochi anni erano stati scoperti giacimenti enormi a mare e l’economia del Brasile era in pieno fermento. Così grande era il suo entusiasmo che mentre era a capo della Petrobras abbassò artificialmente i prezzi della benzina, sperando di ottenere maggiori quote di mercato rispetto ai biocarburanti, visto che il paese era all’avanguardia nella produzione di etanolo. Il futuro era suo e delle sue trivelle.
E invece.
Invece è crollato tutto. Dopo essere stata eletta nel 2010, arrivano le difficoltà tecniche di sviluppare giacimenti petroliferi difficili, il crollo dei prezzi del petrolio, il calo della valuta nazionale che ha perso il 30% del suo valore rispetto al dollaro e soprattutto un enorme scandalo di corruzione e di tangenti dentro Petrobras che sembra non avere fine e che è tutto centrato attorno al presidente.
Pian piano infatti emerge che per avere contratti con Petrobras varie ditte abbiano “generosamente versato” il 3% del valore dei contratti in tangenti. Forse può sembrare un cosi-fan-tutte in Italia dove pagare tangenti è normale, ma in Brasile l’hanno presa seriamente e con un grande scandalo popolare.
La Corte Suprema ha autorizzato che dozzine e dozzine di figure politiche di spicco venissero indagate per corruzione – fra cui il presidente del Senato Renan Calheiros, il presidente della Camera, Eduardo Cunha, l’ex ministro dell’Energia Edison Lobao e l’ex presidente Fernando Collor de Mello. Per ora ci sono circa 54 persone, la maggior parte politici, sotto indagine per corruzione dentro Petrobras.
Uno dei manager Pedro Barusco ha restituito circa 100 milioni di dollari ricevuti in tangenti e ha rivelato che tutti questi soldi finivano in banche svizzere. Parte un’indagine ed il Ministero della Giustizia svizzero richiede che vengano congelati circa 400 milioni di dollari illegalmente ottenuti dalla Petrobras e versati in circa 300 conti in 30 banche elvetiche. Hanno ritrovato un ammasso di opere d’arte comprate con queste tangenti, parte delle quali sono anche finite nelle casse del Partito dei Lavoratori ed usati durante la campagna elettorale di Dilma nel 2010.
Viene arrestato Nestor Cerveró, il capo delle operazioni internazionali a Petrobras: secondo l’accusa prese tangenti dal 2003 al 2008 che nascose in conti svizzeri e uruguayani. Si dimette anche il Ceo della Petrobras, Maria das Graças Foster, insieme con altri cinque funzionari. Un altro dirigente Petrobras, Paulo Roberto Costa, viene arrestato per un giro di tangenti di circa 4 miliardi di dollari. 3.96 per l’esattezza.
Questo enorme giro di tangenti e di corruzioni viene messo in piedi proprio durante gli anni in cui è Dilma a capo della Petrobras, e allo stesso tempo ministro dell’Energia, molto vicina al suo precedessore Lula da Silva. Non solo Dilma era a capo della Petrobras, ma aveva anche imposto alla Petrobras di servirsi *solo* di ditte e di personale brasiliano, che spesso non erano all’altezza della situazione, causando incompetenze e ritardi. Sotto Dilma partono mastodontici progetti di raffinerie, Fpso, pozzi – e presumibilmente tangenti. Molti sono ora semi abbandonati, e le prime a partire sono state sicurezza e manutenzione – non a caso ci sono stati almeno due incidenti gravi nei campi petroliferi offshore del paese negli scorsi mesi.
Nel 2013 alla Petrobras lavoravano in 35,000. Adesso sono in 5,000. Spesso gli operai erano abitanti giunti da stati più poveri, che dopo essere licenziati, sono rimasti presso i cantieri e adesso sono senzatetto. Per cercare di ovviare al tutto – mancati introiti, aumento delle spese – Dilma propone di alzare le tasse, creando ancora più rabbia fra la gente che si sente defraudata ancora di più. Dall’altro lato, a causa dei sussidi al petrolio sono stati persi circa 60,000 posti di lavoro solo dal 2013 al 2014 nell’industria dell’etanolo, un tempo l’orgoglio del paese.
Si era pensato di stabilire un fondo pensioni nei tempi delle vacche grasse, come fatto in Norvegia, ma dopo averlo creato, Dilma decise che era meglio usare quei soldi nell’immediato e cosi il fondo pensioni brasiliano, istituito nel 2008 è stato fondamentalmente chiuso nel 2012.
In questo momento l’indice di gradimento per Dilma è del 13%. Con 112 miliardi di dollari in rosso, la Petrobras è la ditta petrolifera più indebitata del mondo. Il giorno 12 aprile sono scese in piazza almeno un milione di persone in tutto il paese. Un mese prima, il 15 marzo, erano stati un milione e settecentomila a chiedere le dimissioni di Dilma.
Qui le immagini delle proteste – da Rio de Janeiro a San Paolo