Il premier all'assemblea dei deputati Pd: "Chiudere la discussione definitivamente". Nulla di fatto nelle trattative dell'ultim'ora con Cuperlo e lo stesso capogruppo alla Camera. Ma il capo del governo apre a modifiche sulle riforme istituzionali. Bersani: "Se si va avanti così io non ci sto". Sel, Fdi, Fi e Lega scrivono a Mattarella: "No alla fiducia sulla legge elettorale, sarebbe un golpe"
C’ha provato Gianni Cuperlo con un faccia a faccia. C’ha riprovato Roberto Speranza con una telefonata. Ma Matteo Renzi fa quello che aveva assicurato, visto che “non è il Monopoli” e non si può tornare indietro: il testo dell’Italicum resta così com’è, le modifiche (ulteriori) chieste dalla minoranza del Pd non ci saranno. Perché, dice il capo del governo ai deputati democratici, “questo governo è legato a questa legge elettorale nel bene e nel male”.
Dopo mezzanotte l’assemblea dei deputati ha approvato all’unanimità dei presenti la linea del premier, ma al momento del voto la minoranza non ha partecipato: su 310 componenti del gruppo, i sì all’Italicum sono stati 190. A non votare sono stati in 120, quasi un terzo del gruppo. “Tutti i membri della commissione accettino il deliberato dell’assemblea sulla legge elettorale”, il commento di Renzi nel chiudere l’assemblea.
Intanto, con il fallimento delle trattative e della mediazione è finita anche l’esperienza da capogruppo di Montecitorio di Roberto Speranza, uno dei leader di Area Riformista (corrente che raccoglie molti dei “non renziani”). Sulla riforma elettorale c’è un “profondo dissenso – ha spiegato Speranza annunciando la decisione – non sono nelle condizioni di guidare questa barca perciò con serenità rimetto il mio mandato e non smetto di sperare che questo errore che stiamo commettendo venga risolto. Credo nel governo e credo nel Pd e nel gruppo – ha aggiunto – ma in questo momento è troppo ampia la differenza tra le scelte prese e quello che penso”. Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso spingendo il capogruppo alle dimissioni? “Bastava un piccolo passo per ridurre il numero dei nominati”, una delle modifiche all’Italicum che chiedeva la minoranza Dem. L’ex segretario Pier Luigi Bersani ha rincarato la dose: “Non è un tema di disciplina di partito nè di coscienza. Se si va avanti così io non ci sto”. Renzi ha detto di “non condividere” la decisione di Speranza di dimettersi, anche se “rispetto la sua valutazione”. Sul tema ci sarà “un’assemblea ad hoc” probabilmente la prossima settimana. Mentre Alfredo D’Attorre ha sottolineato: “Credo che ci sia una responsabilità molto grave del segretario, che ha determinato questa spaccatura ed è sconcertante non essersi fermati” dopo l’annuncio delle dimissioni.
Il voto della riunione del gruppo sancisce quello che già era uscito dalla direzione del Nazareno: la minoranza è tale anche a livello parlamentare. Come se non bastasse all’interno della minoranza, spaccata al suo interno, si sono moltiplicate le idee sulla posizione da tenere sia in assemblea sia in Aula al momento del voto finale della Camera, quando in ballo ci potrebbero essere, secondo alcuni, addirittura 80-100 voti. In commissione – da dove il testo deve ancora uscire – il problema non si pone solo perché gli esponenti della sinistra Pd hanno già chiesto di essere sostituiti per non votare contro le indicazioni del partito. Tuttavia, come si diceva nei giorni scorsi, Renzi apre a “possibili ulteriori modifiche alla riforma costituzionale”.
Renzi: “Chiudere la discussione definitivamente”
Renzi, in assemblea, ha ribadito che la sua volontà è “chiudere la discussione sulla legge elettorale in modo definitivo”. Il segretario ha rivendicato che “oggettivamente la mediazione sulla legge elettorale c’è stata ed è in linea con il dibattito interno al Pd. Ora la nostra discussione deve essere depurata da toni di Armageddon”. Certo, “non è la legge elettorale perfetta, perché la legge elettorale perfetta non esiste in natura, ma esistono leggi elettorali funzionanti” ha spiegato. Per il resto l’assemblea del gruppo deve essere “un luogo di dialogo. Per chi ama il Libro della Giungla fuori di qui ci sono tanti Tabaqui (lo sciacallo nel romanzo di Kipling, ndr). Ma anche gli altri dovrebbero abituarsi alla bellezza della discussione democratica”.
L’ultimo tentativo di Speranza con il segretario
Prima di dimettersi Roberto Speranza, nella sua veste di leader di Area Riformista (una sorta di “vice Bersani“) più che in quella di capogruppo, ha avuto un colloquio con Renzi per riproporre quello che la sua componente chiede da una settimana, con un documento firmato da circa 80 deputati: due modifiche all’Italicum (preferenze anche per i capilista e apparentamento al secondo turno) che però avrebbero richiesto una (pericolosa) quarta lettura della riforma in Senato. Renzi, come aveva detto in direzione, ha chiuso a questa richiesta, aprendo semmai a qualche modifica sulla riforma costituzionale e promettendo una accelerazione sulla legge sui partiti e aprendo sul disegno di legge di riforma della Rai. Certo è che Speranza si è trovato dalla parte di una piccola minoranza del suo gruppo (60-80 deputati su 310) e quindi in una posizione scomoda, quasi “sfiduciato” dal grosso dei suoi deputati, e quindi nelle condizioni di doversi dimettere. A ciò si aggiunge il fatto che i rapporti, anche personali, tra deputati della maggioranza e quelli della minoranza si sono deteriorati.
Ipotesi fiducia, la più sicura per i renziani
Poi c’è un’altra questione che ha fatto saltare sulla sedia non solo la minoranza del Pd, ma anche il resto delle opposizioni, cioè l’ipotesi che il governo ponga la questione di fiducia sull’Italicum per evitare i voti segreti, dietro ai quali si possono nascondere delle trappole per la maggioranza. “Se le posizioni della minoranza rimarranno inamovibili non c’è alternativa alla fiducia” ha detto la vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani a Repubblica. “A volte – aggiungeva – si ha l’impressione che, recepite le richieste, si sposti l’asticella più in là per cercare quasi la rottura o farne un punto di principio”, ma “adesso è arrivato il tempo delle decisioni”. Per questo i capigruppo di tutti i partiti di opposizione hanno scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedergli di intervenire nel caso davvero ci sia la fiducia. Una richiesta impossibile da essere recepita da Mattarella, visto che a vigilare sulla legittimità dei lavori della Camera è il suo presidente e non il capo dello Stato.
Le opposizioni: “Sarebbe un golpe istituzionale”
Per questo i capigruppo di tutti i partiti di opposizione hanno scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedergli di intervenire nel caso davvero ci sia la fiducia. Una richiesta impossibile da essere recepita da Mattarella, visto che a vigilare sulla legittimità dei lavori della Camera è il suo presidente e non il capo dello Stato. Arturo Scotto (Sel) parla di possibile “golpe istituzionale” anche perché la fiducia sulla riforma elettorale ha un solo precedente, quello della cosiddetta “legge truffa” del 1953. Renato Brunetta (Forza Italia) lo definisce un “attentato alla democrazia”. Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) chiede a Mattarella “un autorevole intervento”. Massimiliano Fedriga (Lega Nord) esprime le “preoccupazioni” proprie e del suo gruppo. L’unico gruppo a non scrivere al Quirinale è stato il Movimento Cinque Stelle che pare voler confermare una sorta di sintonia istituzionale inaugurata nell’incontro tra il capo dello Stato e Beppe Grillo il 26 febbraio: “Noi non scriveremo nessuna lettera a Mattarella – dice la capogruppo Fabiana Dadone – Crediamo che il Presidente abbia tutti gli strumenti per valutare la situazione. Le altre forze politiche hanno ritenuto di scrivere anche se è ancora prematuro sapere se ci sarà o meno la fiducia”.