Al processo d'appello contro gli ex Ros Mori - Obinu depone l'ex colonnello Riccio: "Ilardo disse che le stragi erano state fatte dagli stessi personaggi autori della strategia della tensione negli anni Settanta"
Le stragi degli anni ’70 sarebbero state messe in atto dalle stesse forze poi attive nel 1992: ordinate da apparati deviati dello Stato, furono compiute da estremisti di destra e da Cosa Nostra. C’è dunque un unico filo nero collega gli anni di piombo con le stragi mafiose: almeno secondo l’analisi tracciata da Michele Riccio, l’ex colonnello dei Carabinieri, principale testimone nel processo a Mario Mori e Mauro Obinu. Riccio aveva infiltrato il confidente Luigi Ilardo in Cosa Nostra, cercando poi di arrestare Bernardo Provenzano, localizzato a Mezzojuso il 31 ottobre del 1995. Solo che il blitz per bloccare il padrino corleonese non venne mai ordinato: Mori e Obinu sono dunque finiti alla sbarra, accusati di favoreggiamento a Cosa nostra.
Dopo l’assoluzione dei due carabinieri nel luglio 2013, il tribunale ha quindi trasmesso gli atti in procura per capire se Riccio avesse o meno testimoniato il falso. E per questo che testimoniando nel processo d’appello davanti ai pg Roberto Scarpinato e Luigi Patronaggio, Riccio depone come indagato di reato connesso. Questa volta però il racconto dell’ex colonnello si arricchisce di una nuova rivelazione: la collaborazione di Ilardo doveva servire all’inizio per capire chi fossero i mandanti a volto coperto delle stragi del 1992, e soltanto in seguito venne utilizzata per catturare Provenzano.
“Nell’estate del ’93 – ha raccontato Riccio – De Gennaro mi affida la gestione di Ilardo, perché poteva aiutarci ad individuare i mandanti esterni sulle stragi del ’92-’93. Ilardo mi disse che si trattata di personaggi appartenenti a quegli stessi ambienti che negli anni Settanta posero in essere una strategia della tensione”. Un racconto, quello di Ilardo, che era accreditato dal passato del boss catanese. Ilardo – ha continuato Riccio – spiegava di aver fatto parte di un certo contesto mafioso, vicino all’eversione di destra che era in contatto con apparati deviati dello Stato”.
Un boss d’alto livello dunque, e sarà forse per questo che Provenzano lo considera tra i suoi pupilli, tanto da metterlo al corrente di una serie di confidenze. “Ilardo, mi raccontava che Provenzano non temeva il pentimento di soggetti come Giovanni Brusca, ma quello di capi storici, come i Santapaola e gli Ercolano di Catania e i Madonia di Palermo, perché erano a conoscenza degli accordi indicibili che Cosa nostra da sempre stringeva con pezzi dello Stato”.
A conoscenza di quegli accordi era anche lo stesso Ilardo, che ne parla direttamente con Mori. “Era il 2 maggio del 1996 – ha ricordato Riccio in aula – prima dell’incontro con Tinebra e Caselli, presentai Ilardo a Mori. La scena mi colpì: Ilardo si avvicinò di getto a Mori e gli disse: Guardi che molti attentati attribuiti a Cosa Nostra in realtà sono stati voluti dallo Stato. Mori si irrigidì, strinse i pugni, si volta di scatto e con lo sguardo abbassato, usciì” ha detto davanti la corte d’appello il testimone, riavvolgendo indietro il nastro dei suoi ricordi. “In passato – ha continuato Riccio – Ilardo mi aveva fatto comprendere di molti attentati erano stati addebitati a Cosa nostra, ma i mandanti venivano dall’esterno. Mi parlò di Mattarella, Pio La Torre, Insalaco, dell’attentato dell’Addaura: disse che ne avrebbe parlato davanti all’autorità giudiziaria, una volta diventato a tutti gli effetti un collaboratore di giustizia”. Non ne avrà il tempo però: Ilardo sarà infatti assassinato il 10 maggio del 1996, pochi giorni dopo aver incontrato Tinebra, Caselli e Mori. “Viene ucciso – ha spiegato Riccio – perché stava per riferire del coinvolgimento di apparati deviati dello Stato”.
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