Solo mille domande in tre mesi. E la deadline per presentarle è il prossimo 30 settembre. Il tributarista: "Se c'è il sospetto di rilevanza penale del fatto non è possibile sapere con certezza su quanti anni le Entrate faranno le verifiche. In più capire a quanto ammontano le imposte evase e le sanzioni è mostruosamente complicato". Intanto nell'Agenzia regna il caose dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi 800 dirigenti
“Complicazioni e incertezze nell’interpretazione della norma”. Sono questi i fattori che per Vittorio Giordano, avvocato tributarista dello studio Salvini Escalar e Associati, spiegano il numero limitato di pratiche sinora presentate all’Agenzia delle entrate per aderire alla voluntary disclosure, la collaborazione volontaria per l’emersione dei capitali nascosti all’estero: meno di mille nei primi tre mesi, secondo il dato riportato da Il Sole 24 ore. Un decollo difficile e che non promette bene per il governo, che ufficiosamente dall’operazione conta di ricavare almeno 5 miliardi. Partenza in sordina soprattutto se si confronta il dato con le 50-70mila domande attese entro il 30 settembre, quando la regolarizzazione spontanea dovrebbe lasciare il passo al rigore del Fisco, che dalla sua avrà i nuovi accordi di trasparenza siglati con Svizzera, Liechtenstein e Principato di Monaco. “Il contribuente, oltre a definire le sanzioni per non aver dichiarato disponibilità finanziarie detenute all’estero, in sostanza chiede volontariamente all’Agenzia delle entrate di essere sottoposto a un accertamento per le imposte non pagate – spiega Giordano -. Ma ad oggi, se vi è il sospetto di rilevanza penale del fatto, il professionista non può dire con certezza al suo cliente se tale procedura debba avere ad oggetto le violazioni commesse dall’anno 2010 (dal 2009 nel caso di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi) oppure se questi termini vadano in ogni caso raddoppiati (e quindi partire dal 2006 o dal 2004)”.
Versare imposte evase e sanzioni, ma per quanti anni? – Il problema non è da poco, visto che il raddoppio dei termini comporta più anni di imposte evase da versare per intero. Con in aggiunta gli interessi e le sanzioni, che seppur ridotte, sono dovute. Alla base dell’incertezza c’è il fatto che l’Agenzia delle entrate, nel caso in cui il contribuente sia sospettato di avere commesso un reato, di solito può estendere le proprie indagini oltre i quattro anni canonici. Ma cosa succede a chi aderisce alla voluntary disclosure? Non è chiaro, visto che la cancellazione prevista per alcuni reati arriva solo a procedura ultimata, quando il ‘debito’ verso il Fisco è stato già saldato. Per questo professionisti e contribuenti sono in attesa di un intervento chiarificatore da parte del governo. Tanto più che la questione non è stata nemmeno sfiorata nella circolare di un mese fa con cui l’Agenzia delle entrate ha fissato i paletti della procedura. “L’approvazione della voluntary disclosure – spiega Giordano – doveva essere accompagnata dal decreto legislativo sulla delega fiscale, che avrebbe limitato a quattro o cinque anni il periodo di riferimento per la procedura”. Ma tutto si è bloccato dopo le polemiche sulla norma ‘salva Berlusconi’ inserita all’ultimo nel testo. E a marzo il governo si è concesso un allungamento della delega fino a giugno.
“Difficile reperire tutti i documenti. E calcoli molto complicati” – Non c’è solo l’incertezza a fare da deterrente alle prime adesioni: “La procedura è piuttosto complicata – continua Giordano -. La documentazione da presentare deve riguardare la posizione globale del contribuente. Ma non è facile reperire tutte le carte, soprattutto se i termini validi per l’accertamento sono quelli raddoppiati”. Molte difficoltà derivano poi dai calcoli necessari per valutare le imposte evase e le sanzioni: “Sono mostruosamente complicati, soprattutto nel caso di patrimoni consistenti che comprendano, per esempio, investimenti azionari in decine di società diverse. Questi conti di solito vengono fatti con software avanzati dalle banche, che poi versano le imposte per il contribuente”. Ma visto che nel caso di voluntary disclosure le imposte in passato sono state evase, ora i calcoli toccano a commercialisti e tributaristi: “In certi casi possono prendere anche un mese, con costi che poi vengono riversati su parcelle piuttosto salate”. Meglio sarebbe stato, secondo Giordano, applicare un meccanismo forfettario, anziché richiedere versamenti proporzionali all’imponibile non dichiarato: “Una soluzione più appetibile per chi ha capitali all’estero, anche se più difficile da fare accettare all’opinione pubblica. Per restituire il senso di giustizia negato dalla forfetizzazione sarebbe però stato sufficiente applicare aliquote intorno al 30-40%, invece del 5% dello scudo fiscale”.
L’obbligo di indicare i ‘soggetti collegati’, tra effetto delatorio e rischio omertà – Altro nodo è quello dei cosiddetti ‘soggetti collegati’: se i redditi portati all’estero sono stati realizzati in nero attraverso una società italiana, questa dovrà essere indicata in fase di voluntary disclosure, insieme agli altri soci e agli eventuali cointestatari dei conti correnti. Un meccanismo che nelle intenzioni del Fisco dovrebbe portare a un effetto a cascata nelle adesioni alla collaborazione volontaria: chi non presenta spontaneamente domanda rischia infatti di subire indagini in seguito alle domande presentate da altri e di perdere così i benefici della voluntary disclosure. “Ma la conseguenza può essere anche quella contraria”, sostiene Giordano. “Soggetti con legami reciproci di forte solidarietà, come nel caso di una società a conduzione familiare, potrebbero accordarsi per mantenere il silenzio”.
Sul punto esiste anche un problema che il legale definisce “di rilevanza costituzionale”. L’Agenzia delle entrate potrebbe infatti avviare indagini su un contribuente a seguito della documentazione presentata da un soggetto terzo. Se al contribuente venisse data notizia delle verifiche, questi perderebbe la possibilità di aderire alla voluntary disclosure: “All’amministrazione finanziaria è lasciata una discrezionalità sul momento in cui notificare l’avviso dell’accertamento, contro cui è facile ipotizzare la presentazione di questioni di legittimità alla Consulta”.
“O voluntary disclosure o rischio elevato di essere scoperti in futuro” – Le problematiche ancora da superare sono dunque più d’una. E i risultati della voluntary disclosure potrebbero essere minati anche dal caos in cui è precipitata l’Agenzia delle entrate dopo che una sentenza della Corte Costituzionale ha portato alla revoca di 800 posizioni dirigenziali sulle 1.100 esistenti. “L’auspicio – dice Giordano – è che le procedure vengano semplificate in corso d’opera e che la scadenza venga prorogata, visto che al 30 settembre mancano meno di sei mesi”. Nessun dubbio invece sulla convenienza di fare domanda di collaborazione volontaria. Anche nei casi più ‘sfortunati’, per i quali tra imposte evase, interessi e sanzioni andranno versate cifre vicine al 100% del capitale nascosto all’estero. Alla luce degli accordi di trasparenza siglati con alcuni paradisi fiscali, l’alternativa infatti è una sola: “Essere scoperti in futuro”.
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