Il poliziotto al centro delle polemiche scarica su colleghi di altri corpi le responsabilità della "macelleria messicana". Ma in aula fu l'avvocato dei suoi superiori, Rinaldo Romanelli, ad ammettere di fronte a un video che uomini di quel reparto parteciparono al pestaggio del mediattivista inglese, finito in codice rosso. E li definì "indegni di portare la divisa"
Fabio Tortosa, il poliziotto finito in un mare di polemiche per il post su Facebook in cui rivendicava il blitz alla Diaz, non dice tutta la verità quando afferma che quella notte gli uomini del VII nucleo del Reparto mobile di Roma, in cui era inquadrato, usarono “il manganello, certo ma all’interno delle regole”. E a picchiare fuori dalle “regole” furono poliziotti di altri corpi. La cosa interessante è che a smentirlo è stato l’avvocato dei suoi capi, Michelangelo Fournier e Vincenzo Canterini, in un’udienza del processo sull’irruzione nella scuola del G8 di Genova. Che anzi ha definito in aula alcuni agenti del VII Nucleo “indegni di portare la divisa“.
Un esercito di centinaia di poliziotti si concentrò davanti alla scuola di via Battisti intorno a mezzanotte del 21 luglio 2001 per eseguire la “perquisizione” decisa in Questura dopo una drammatica riunione con gli alti vertici del Viminale inviati a Genova dal capo della polizia Gianni De Gennaro. Prima di arrivare al cancello della scuola, il plotone incontra Mark Covell, 34 anni, mediattivista inglese sorpreso in strada dall’arrivo della polizia. Covell viene pestato a sangue da almeno tre ondate di agenti, e a nulla gli vale urlare “journalist”. Finirà in ospedale in codice rosso: «Pneumotorace sinistro, trauma emitorace sinistro, spalla e omero sinistro, trauma cranico», scriveranno i medici nel referto. In quel momento l’iruzione non è ancora iniziata, né si è verificato alcuno degli episodi di “resistenza” attribuiti poi dai poliziotti (e largamente ridimensionati dai giudici) ai manifestanti ospitati dalla scuola.
Il pestaggio di Covell è stato ripreso in lontananza da un video, finito agli atti del processo. Buio e distanza impediscono il riconoscimento delle persone che infieriscono sul mediattivista. Però si riconoscono caschi e divise. E gli uomini del VII nucleo comandati da Fournier indossano un casco più scuro del classico u-boot azzurro in dotazione a tutti gli agenti di polizia. Il video è stato mostrato in aula in un’udienza del processo di primo grado concluso nel 2008. Nelle immagini si riconoscono i caschi scuri del Nucleo speciale di cui anche Tortosa fa parte. Lo ammette davanti ai giudici anche il legale di Fournier e Canterini, Rinaldo Romanelli. Il quale aggiunge, e fissa negli atti, che chi ha compiuto un’azione del genere «è indegno di vestire una divisa». Dato che è impossibile riconoscere personalmente gli autori del pestaggio, l’accusa di tentato omicidio ai danni di Covell ipotizzato dai pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini finirà archiviata. Tra centinaia di agenti e alti funzionari intervenuti quella notte, nessuno fornirà elementi utili a identificare gli autori di un reato così grave.
Agli atti di quel processo resta anche il racconto di Covell, testimone e vittima dei primi istanti di quella che Tortosa definisce – almeno per quanto riguarda il VII nucleo – un’operazione “ineccepibile”.
La testimonianza di Mark Covell al processo Diaz
“Dalla mia destra sopraggiunse un gran numero di poliziotti. La prima fila mi colpì con i manganelli; io riuscii a restare in piedi e ad arrivare a metà della strada prima di essere colpito nuovamente.Vi era anche oltre alla prima fila di poliziotti una persona che dava ordini; poi tutto avvenne velocemente: venni circondato; io urlavo «stampa», ma un poliziotto, sventolandomi davanti il manganello, mi disse in inglese «tu non sei un giornalista, ma un black bloc e noi ammazzeremo i black bloc».
Venni colpito ripetutamente da quattro poliziotti con gli scudi, che mi spinsero indietro verso il muro di cinta della Pertini.Cercai di correre verso il lato Sud della strada ma non c’era modo di fuggire.Venni colpito con i manganelli sulle ginocchia e caddi a terra; vi erano moltissimi poliziotti e io iniziai a temere per la mia vita. Sono rimasto in terra per almeno cinque minuti.
Un poliziotto mi colpì alla spina dorsale e mi diede alcuni calci;quindi altri poliziotti si unirono a picchiarmi provocandomi la frattura di otto costole e della mano. I poliziotti ridevano e mi sembrava di essere un pallone da football a cui a turno i poliziotti dovessero dare dei calci.Venni poi preso da dietro e riportato dove mi trovavo all’inizio da un poliziotto, che mi controllò le pulsazioni al polso e cercò quindi di evitare che io venissi ancora colpito; rimase vicino a me per un po’ di tempo. (…) Poi vidi un poliziotto che arrivava da Sud e mi colpì nuovamente,questa volta in faccia:persi diversi denti; subii poi un colpo sulla testa e svenni”.