I "gender studies", nati negli anni 70 all'interno dei movimenti femministi americani, alla tradizionale divisione tra "maschi" e "femmine" oppongono quella tra "sesso" e "genere": il primo è costituito dal corredo genetico, il secondo è una costruzione culturale. Per questo, nelle scuole in cui vengono applicati, i bambini e le bambine sono invitati a scambiarsi i vestiti o dedicarsi a giochi in cui lo stesso mestiere è svolto da uomini e donne, come il casalingo e la casalinga. Lo scopo: combattere la discriminazione di genere
L’ultimo esperimento arriva dal Friuli Venezia Giulia. Si chiama “Il gioco del rispetto” e lo finanzia la Regione. La fase pilota parte nel 2013 e coinvolge quattro scuole materne, una per provincia. In un secondo momento, su finanziamento del Comune di Trieste, viene proposto a tutte le scuole dell’infanzia comunali (68 le insegnanti formate). “Forniamo un kit didattico composto da una scatola di giochi, otto in tutto – spiega a IlFattoQuotidiano.it Lucia Beltramini, psicologa e responsabile scientifica del progetto – per esempio i bimbi e le bimbe sono invitati a scambiarsi i vestiti, ascoltare i battiti del cuore del compagno/a, rinominare gli spazi gioco dell’asilo, quello “del fare” piuttosto che “l’angolo del meccanico” o “la cucina“, e poi c’è un gioco memory formato da carte in cui lo stesso mestiere è rappresentato da uomini e donne, come il casalingo e la casalinga. Già a due anni i bambini sono investigatori di differenze legate al sesso”. Durissima la reazione del centrodestra. Anche se il ministro Stefania Giannini difende l’iniziativa, secondo lei utile per combattere la discriminazione di genere.
In Italia l’educazione alla diversità di genere nelle scuole è al centro di un dibattito spinoso, ancora senza una via d’uscita. L’Unar (l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) ci prova un anno fa, realizzando dei libretti contro gli stereotipi sulle donne e sugli uomini da distribuire nelle classi, ma quando è tutto pronto il Ministero dell’Istruzione blocca il progetto. Pesa anche l’ostilità della Chiesa e delle associazioni dei genitori. Per il presidente della Cei Angelo Bagnasco c’è il pericolo che le scuole si trasformino in “campi di rieducazione e indottrinamento”. Proprio ieri Papa Francesco si è espresso contro la teoria di genere ritenendola “espressione di frustrazione”. Bisogna partire da una definizione per capire di cosa stiamo parlando, quella di studi di genere (o gender studies), che distinguono due aspetti dell’identità di una persona: il sesso, che costituisce il suo corredo genetico (gonadi, ormoni sessuali, strutture riproduttive interne, genitali esterni) e distingue tra l’essere maschio/femmina; e il genere, cioè la costruzione culturale, sociale e psicologica che si innesta sui caratteri biologici e connota l’essere uomo/donna. I due concetti non sono contrapposti né intercambiabili. Gli studi di genere nascono negli anni Sessanta all’interno dei movimenti femministi americani, che rivendicano diritti uguali tra uomini e donne e lottano contro gli squilibri di potere. A usare per la prima volta il termine gender è l’antropologa Gayle Rubin nel suo libro The traffic in women del 1975. Negli anni Novanta in America si sviluppano i Queer studies che allargano l’identità di genere alla categoria Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).
Prima dell’Unar, era Camilla Seibezzi, allora consigliere comunale a Venezia con delega ai diritti civili, a tentare di introdurre i principi basilari degli studi di genere tra i banchi. A fine 2013 lancia il progetto “Leggere senza stereotipi”, finanziato con diecimila euro, che prevede la distribuzione di 50 titoli di fiabe contro gli stereotipi di genere nelle biblioteche degli asili nido e delle scuole dell’infanzia del Comune. L’iniziativa suscita enormi polemiche e l’opposizione dell’assessore alle politiche educative Tiziana Agostini (Pd). “A un certo punto il sindaco Orsini decide di interrompere la distribuzione. Avevo ordinato oltre 500 volumi e metà sono ancora chiusi negli armadi nei magazzini del Comune – racconta a IlFattoQuotidiano.it – ancora adesso sono criticata dai genitori e il candidato sindaco del centrodestra nella sua campagna elettorale mi attacca”.
Poi arriva il governo Monti. Nel febbraio 2012 il ministro del Welfare con delega alle pari opportunità, Elsa Fornero, aderisce a un progetto del Consiglio d’Europa, chiamato “Combattere le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere”. L’Unar per attivare la direttiva comunitaria istituisce un gruppo di lavoro che nel 2013 partorisce la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”. Qui si inserisce il progetto “Educare la diversità a scuola” del febbraio 2014: l’istituto Beck, associazione di psicologi e psicoterapeuti, su richiesta dell’Una mette a punto alcuni opuscoli per la realizzazione di specifici moduli didattici di prevenzione e contrasto all’omofobia disponibili previa autorizzazione e tramite download dal sito protetto con password. Ma il sottosegretario di Stato del Miur, Michele Toccafondi, sospende immediatamente il programma Unar perché dice che il suo ministero non è stato avvertito di questa attività e non la condivide. Segue una circolare che vieta la diffusone dei libretti nelle scuole. Contrari anche ProVita onlus, l’Associazione italiana genitori, l’Associazione genitori delle scuole cattoliche, Giuristi per la vita e Movimento per la Vita, che a gennaio presentano in Senato la petizione “No all’ideologia gender nelle scuole”.