L'inserimento nello statuto della norma che sancisce la decadenza degli amministratori indagati o condannati in primo grado non compare all'ordine del giorno delle prossime assemblee dei gruppi pubblici. L'anno scorso gli azionisti del Cane a sei zampe e del gruppo dell'aerospazio e della difesa l'avevano bocciato. ma a dicembre il viceministro Morando aveva promesso: "Impegnati a assicurare" che la direttiva sia recepita
A un anno dalla prima bocciatura, il Tesoro getta la spugna. L’azionista pubblico rinuncia alla richiesta, presentata nella primavera 2014 a Eni, Enel e Finmeccanica, di inserire nel proprio statuto la cosiddetta clausola di onorabilità. Cioè quella che avrebbe dovuto prevedere l’ineleggibilità ma soprattutto la decadenza dalla carica di amministratore delle aziende controllate dallo Stato dei manager finiti sotto processo o condannati, anche con sentenza non definitiva, per delitti contro la pubblica amministrazione o tributari, per quelli previsti dalle norme sull’attività bancaria e finanziaria e dalle norme del codice penale sulle società oltre che per reati legati alla criminalità organizzata. L’argomento, scrive Il Sole 24 Ore, non sarà infatti all’ordine del giorno delle prossime assemblee dei soci del Cane a sei zampe (convocata per il 13 maggio) e del gruppo dell’aerospazio e della difesa (8 maggio in prima convocazione, 11 in seconda), né dovrebbe essere tra i punti che saranno discussi dall’assemblea di Terna.
Pier Carlo Padoan, titolare di via XX Settembre, ha deciso dunque di non dar seguito all’intento ribadito però ancora lo scorso dicembre dal viceministro Enrico Morando, che aveva assicurato come il ministero fosse “impegnato” a “superare” la situazione di stallo seguita alle assemblee dello scorso anno. L’8, il 15 e il 27 maggio 2014, rispettivamente, gli azionisti di Eni, Finmeccanica e Terna hanno infatti bocciato l’introduzione della clausola per l’opposizione dei fondi di investimento, soprattutto esteri, che vogliono mano libera sulla designazione dei vertici. In tutti e tre i casi non è stato raggiunto il quorum dei due terzi necessario per l’approvazione. All’epoca peraltro l’allora amministratore delegato del gruppo petrolifero, Paolo Scaroni, condannato a tre anni in primo grado per i danni ambientali causati dalla centrale di Porto Tolle e indagato anche per corruzione internazionale, aveva commentato che una norma del genere “non esiste in nessuna società al mondo”.
Ha fatto eccezione Enel, che il 22 maggio dello scorso anno ha approvato l’introduzione dei requisiti rafforzati. Che sono previsti dalla direttiva varata nel giugno 2013 (governo Letta) dall’allora ministro Fabrizio Saccomanni, dopo l’arresto per corruzione dell’ex ad di Finmeccanica e Agusta Westland Giuseppe Orsi. Che in primo grado è stato assolto, ma condannato a due anni per false fatturazioni.