Per la Polizia metropolitana britannica parlare di sessismo quotidiano non è un argomento futile né da contrapporre a casi più gravi di discriminazione e violenza sulle donne. E, infatti, qualche giorno fa la Met Police ha lanciato una campagna di sensibilizzazione contro le molestie sui mezzi di trasporto. “Riportare per fermarlo!”, invita un video che non può lasciare indifferenti.

I casi di molestia denunciati sono relativamente pochi (120 a Londra nel 2014) ma le autorità hanno dichiarato guerra alla “mano morta”, consapevoli che chi ne è vittima tende a subire in silenzio.

Questa maggiore sensibilità delle autorità è uno dei risultati ottenuti da una nuova ed energetica generazione di femministe britanniche come Laura Bates e Caroline Criado-Perez che, quasi per caso, si sono trovate a denunciare le molestie quotidiane che prima o poi colpiscono tutte, indipendentemente da età, etnia, religione.

La campagna di Caroline Criado-Perez è iniziata con una petizione alla Banca di Inghilterra perché almeno una donna fosse ricordata sulle banconote britanniche. Nel luglio del 2013, all’annuncio che la Banca di Inghilterra avrebbe accolto la richiesta (l’autrice Jane Austen sarà sulle banconote da 10 sterline), Caroline Criado-Perez è stata travolta da un’ondata d’insulti sui social media e da oltre 50 minacce l’ora di una violenza inaudita. Per giorni e giorni su Twitter.

Chi minimizzava si è dovuto ricredere: il Ceo di Twitter Tony Wang, dopo quattro settimane, ha annunciato una nuova funzionalità nella piattaforma che permette agli utenti di denunciare e fermare l’abuso.

Laura Bates invece ha lanciato il forum Everyday Sexism nel 2012 per raccogliere testimonianze di sessismo di amiche e conoscenti. Ha ricevuto oltre 80.000 contributi, da 17 Paesi (tra cui l’Italia). Per Laura Bates denunciare è il primo passo per rendere inaccettabili comportamenti spesso molto offensivi, altre volte talmente ‘normalizzati’ che non si ha neppure più il coraggio di protestare.

Parlare di sessismo quotidiano, a scanso di equivoci, non vuol dire lamentarsi perché qualcuno ci apre una porta. Per Laura Bates e per tutti quelli (sì, ci sono anche uomini, disgustati dal comportamento di altri uomini) che raccontano le loro storie, sessismo quotidiano significa offendere, sminuire, discriminare le donne.

Significa riconoscere che non è giusto che una ragazzina debba “saper stare allo scherzo” quando diventa oggetto di commenti sessisti e battute a sfondo sessuale. Che non è accettabile che a un colloquio di lavoro la domanda sui figli sia rivolta solo alle donne. Significa essere consapevoli che avere donne al governo o su un’astronave non vuole dire che la completa parità sia stata raggiunta e quindi si dovrebbe “star zitte e pensare a problemi più importanti”.

Quindi denunciare e segnalare, sempre. Anche perché raccontare ha un potere catartico: significa smettere di normalizzare il sessismo, a volte quasi giustificandolo inconsciamente. Rivendicare il proprio diritto a non essere molestata su un autobus significa smettere di auto-limitarsi in mille modi (ad esempio non frequentando certi posti e mantenendo un costante stato di ipervigilanza).

La recrudescenza della violenza sulle donne in Italia è certamente un dato drammatico: 179 donne uccise nel 2013. Una ogni due giorni. 6.743.000 le donne vittime di abusi fisici o sessuali. La gravità degli abusi inaccettabili che questi numeri raccontano e la tendenza a colpevolizzare le vittime evidenziano il sessismo endemico al quale tutte – bambine e nonne – sono soggette in Italia. La mappa sulla misoginia nei social media, compilata da Vox è emblematica di quanto la violenza verbale e gli abusi virtuali che Caroline Criado-Perez ha subito in Uk siano onnipresenti anche in Italia. E nello studio curato da Vox delle intolleranze in Italia, quella contro le donne è la forma di intolleranza più diffusa.

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Fonte: Voxdiritti.it

Tralasciando i casi più estremi, che sono ovviamente crimini definiti e punibili per legge, il sessismo quotidiano è fatto di attacchi subdoli mascherati codardamente da satira e libertà d’espressione o di commenti paternalistici che arrivano a sminuire il ruolo e le capacità anche di chi raggiunge l’eccellenza nel proprio campo professionale. Altre volte il sessismo si nasconde dietro a religione e valori. Basti pensare agli attacchi passivo-aggressivi dei gruppi reazionari che hanno inventato l’etichetta polemica della “teoria gender” per creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe.

La cosiddetta teoria gender esiste solo a uso e consumo di chi ha deciso che va combattuta – e cioè i gruppi a volte estremisti e spesso di riferimento cattolico che creano un’emergenza che non c’è per perpetuare il concetto di subordinazione tra sessi e di ruoli stereotipati, predefiniti e quindi immutabili. I racconti delle italiane su Everyday Sexism sono disarmanti proprio perché spesso sono camuffati da questa interpretazione distorta di rispettabilità e tradizione.

Molte delle denunce non si riferiscono a laidi maniaci sconosciuti, ma a padri “molto protettivi” o a compagni di scuola “solamente gioviali”. Sono abusi quotidiani e ancora più mortificanti perché fatti da persone vicine, a volte care.

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E spesso arrivano ad avere un impatto enorme sulla vita delle donne che “dovrebbero solo imparare a stare allo scherzo”.

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Il sessismo quotidiano in Italia inizia a casa, dove ci sono nonni che insegnano alle bambine a servire i maschi di casa, e genitori che deridono le ambizioni delle figlie. Inizia a scuola, dove dei maschi si loda la creatività e delle bambine si loda obbedienza. Inizia alle feste tra amici, dove i commenti spinti sono “solo un complimento”.

A leggere le storie riportate, sembrerebbe che a 11 anni una bambina debba già imparare a “stare allo scherzo”, a “non provocare”, a “non seccare”.

Norme comportamentali repressive e piuttosto comuni quindi, nutrite da pregiudizi vuoti che purtroppo tendono a radicarsi nelle menti delle bambine e ne condizioneranno poi le scelte, le aspirazioni e le insicurezze.

Ecco magari invece alle bambine si potrebbe insegnare – a scuola, a casa, mentre giocano – che gli stereotipi sessisti non definiscono quello che sono né quello che diventeranno. E soprattutto che non è mai presto per imparare che se mai qualcuno volesse imporre loro ruoli che non interessano, battute squallide e attenzioni non gradite, la prima linea di difesa è “Riportare per fermarlo!”.

E se questa è quella che alcuni definiscono “educazione gender“, allora mi auguro che questa “emergenza gender” tanto paventata inizi davvero e presto.

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