Nel 1987 usciva il magnifico album Nothing like the Sun e il figaccione Sting, all’apice della sua popolarità, si batteva come un leone per l’Amazzonia. Oggi il Signor Sting, al secolo Sir Gordon Matthew Thomas Sumner, è un proprietario terriero anche lui come i fazenderos brasiliani. Unica differenza è che a riso, fagioli, carne e banane, lui preferisce il Chianti. Chiamalo scemo. E vende i suoi “workshop di vendemmia” a caro prezzo. D’altra parte lo sballatissimo Joe Cocker, da grande era molto preoccupato quando la figlia usciva la sera e Manu Chao, strenuo paladino delle minoranze, che non ho mai più sentito, non mi stupirei avesse rilevato quote di qualche banca svizzera. Non se ne esce mai.
Così adesso, di una delle più grandi foreste del mondo, che si sta avviando alla fine, non si interessa più nessuno. Anzi, forse qualcuno tra i grandi c’è. È Sebastião Salgado. Ma di questo vorrei parlare un’altra volta.
Adesso, mentre in Brasile e nel resto del mondo, da dietro uno schermo e davanti alle tastiere si discute se Djilma fa bene o male, se il suo governo è troppo corrotto oppure no, se i manifestanti della settimana scorsa sono nostalgici del regime militare, ricchi contro il PT o chissà cosa, l’Amazzonia viene fatta a pezzi.
Il sogno ecologico di frontiera è in realtà, per il governo brasiliano e le imprese fameliche, multinazionali e non, che ci girano intorno, una miniera d’oro, in senso letterale. Vi si trovano minerali nel sottosuolo e legnami pregiati sopra. E i corsi d’acqua, potentissimi, sono ideali per la costruzione di dighe idroelettriche che hanno un forte impatto sul territorio. Inoltre, una volta depredato il legname, si potranno piantare vegetali, probabilmente OGM, utili per i biocarburanti, come soia e canna da zucchero. Tutto questo, insieme all’eolico e al petrolio, è necessario per placare la fame di energia del Brasile, per il quale è una vera e propria ossessione. Difficile, per esempio, vedere in Italia così tanta comunicazione sul tema dell’energia. Sembrano quasi spaventati.
In ogni caso, da qualsiasi punto di vista si osservi il fenomeno, ovvero se sia lecito o meno depredare ulteriormente questa vastissima regione, resta un fatto. L’impatto ambientale sarà talmente devastante da interessare non solo il Brasile e il Sudamerica, ma tutto il mondo. Poiché si tratta di un ecosistema talmente grande da influenzare gli equilibri di tutto il pianeta. La diminuzione della popolazione arborea può seriamente causare un’alterazione del tasso di umidità e delle temperature sì da diminuire l’evaporazione e conseguentemente la formazione di nubi, con un aumento (già osservato in molte aree del paese) della siccità. Il collasso di cui alcuni parlano è, in alcune aree, già una realtà. Ma non basta.
La depauperazione del territorio sul piano della vegetazione e la deviazione dei corsi d’acqua ha un impatto anche sulla vita animale. Non si tratta solo della morte di individui o gruppi animali, ma anche della diminuzione della biodiversità. Tutto ciò, a sua volta, causa una diminuzione della diversità culturale, andando a intaccare seriamente i delicati equilibri ecologici e sociali tra l’ambiente e i pochi popoli rimasti ancora legati ad antiche tradizioni. Sta avvenendo ora in Amazzonia, ma anche in altre provincie ecologiche, come la Mata Atlantica, nel sudovest e la Caatinga nel nordeste.
Tralasciamo per ora un argomento che affronterò in futuro, ovvero quello delle tribù incontattate a rischio, le quali stanno facendo capolino uscendo dalla foresta, poiché in serie difficoltà e creando non pochi problemi anche ad altri. E parliamo di popolazioni indigene a contatto con il mondo occidentale già da secoli. Il tema è complesso e articolato, comunque dall’epoca dell’invasione europea (non me la sento proprio di chiamarla conquista) gli indigeni sono stati sterminati, distrutti, piegati, derubati, usati e, in seguito si sono mischiati ai sopravvenuti dall’Europa. Alcuni di essi hanno continuato a vivere, autonomamente e malamente, ai margini dell’urbanizzazione. Altri invece, sono riusciti a sopravvivere e a resistere, mantenendo, chi più chi meno, vive le loro tradizioni. Tra questi ultimi ve ne sono alcuni che invece sono riusciti, con capacità di resistenza e resilienza sorprendenti, a sopravvivere nella loro antica sapienza nonostante l’avanzata della cosiddetta civiltà, per cinquecento anni.
Stanno cominciando a uscire dalle foreste per avvicinarsi alle aree urbane poiché hanno bisogno di comunicare per varie ragioni. Per esempio sono alla ricerca di aiuti concreti, visto che la vita nella foresta diventa sempre più difficile per la devastazione del territorio e perché essi stessi contribuiscono allo sviluppo demografico che porta a problemi di approvvigionamento non indifferenti. Ma non si tratta solo di questo.
Si sta palesando un interessante fenomeno di scambio tra le due culture, quella indigena e quella, chiamiamola così, di matrice europea o occidentale. Con alcuni di questi popoli ho avuto la fortuna di prendere contatto grazie a gruppi di scambio culturale e di iniziare a operare con l’obbiettivo di approfondire la reciproca conoscenza. Tra altre popolazioni indigene si stanno instaurando canali di comunicazione con gli Huni-Kuin (Amazzonia) e i Furli-o (Pernambuco) in Brasile e con gli Shipibo, sempre dell’Amazzonia, ma sul versante peruviano.
Sono popoli che hanno mantenuto fortemente e profondamente tradizioni millenarie. I loro problemi di carattere pratico sono legati alla distruzione dell’ambiente nel quale sono abituati a vivere da secoli. La situazione è molto critica. D’altra parte il loro legame con i culti ancestrali è estremamente forte e radicato e il fenomeno di scambio, specie con giovani brasiliani, a cui ho accennato è interessantissimo e sta già dando buoni frutti. Potrebbe essere concretamente utile per creare opportunità di miglioramento materiale per gli indios da una parte e di arricchimento culturale e spirituale per gli occidentali dall’altra. Non è affatto da escludere che questo canale di comunicazione possa essere utile anche per aprire un dialogo sul tema della salvezza della foresta. Visto che sono coinvolti anche enti universitari, governi locali e il governo federale. Inizierò a parlare di questo interessante fenomeno di scambio nel prossimo post. Il ritorno degli ancestrali.