Si sono svolte mercoledì e giovedì presso l’Aula Bunker di Rebibbia del Tribunale penale di Roma due udienze davvero memorabili del processo a carico dei responsabili dell’Operazione Condor che si sviluppò negli anni Settanta in vari Paesi latinoamericani provocando migliaia di vittime tra i militanti dell’opposizione alle giunte militari dei Paesi del cosiddetto Cono Sud latinoamericano (Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Uruguay).
Con tali udienze il processo, fortemente voluto dai familiari delle vittime e da varie associazioni politiche e sindacali, tra cui soprattutto l’Associazione 24 marzo coordinata dall’infaticabile Jorge Ithurburu, e su cui hanno lavorato negli ultimi diciassette anni la Procura di Roma e numerosi avvocati, è finalmente entrato nel merito delle drammatiche vicende storiche che hanno costituito lo scenario per l’azione genocida dei criminali in divisa che si sono resi responsabili di quegli eventi luttuosi. Abbiamo assistito a una vera e propria lezione di storia in diretta sull’evento da cui partì, su diretta istigazione del governo statunitense e dell’allora capo del Dipartimento di Stato Henry Kissinger, l’operazione di sterminio della sinistra latinoamericana, con il rovesciamento ad opera di un golpe militare del governo democraticamente eletto di Salvador Allende.
Si sono succeduti, sulla tribuna dei testimoni, la vedova Rina Belvederessi, anch’ella militante dei Gap (Gruppo amici personali, la scorta di Allende, formata da giovani socialisti) e la figlia, Tamara, del cittadino italo-cileno Juan José Montiglio Murua, che, con il nome di battaglia di Anibal, era uno dei capi dei Gap , e tre dei sopravvissuti dell’assalto al palazzo presidenziale della Moneda, guidato dal generale Javier Palacios: Julio Soto e Juan Osses Beltran, membri anch’essi dei Gap, e il funzionario della polizia investigativa addetta alla protezione del presidente, Luis Mario Enriquez.
Le testimonianze rese in aula, come pure le deposizioni scritte del capo della polizia investigativa in servizio presso la Moneda, Juan Soane, di un altro funzionario della polizia investigativa, Douglas Gallegos, e di uno dei militari che presero parte all’assalto, di nome Venegas, hanno rievocato quella drammatica e storica giornata. I membri del Gap erano solo una ventina di persone, armati di kalashnikov, pistole e qualche mitragliatrice pesante che per varie ore tennero testa all’attacco scatenato da esercito e aviazione con centinaia di uomini addestrati e ben armati varie decine di carri armati e molti aerei che procedevano a bombardare il palazzo dopo il fallimento, a causa dell’accanita resistenza degli occupanti, dei primi tentativi di penetrare nel palazzo.
Solo dopo il bombardamento e l’incendio che ne era seguito, e constatata la mancanza di un’idonea reazione popolare (nel frattempo l’esercito e i carabineros procedevano alla repressione spietata di ogni focolaio di resistenza, poco organizzata e praticamente disarmata), Allende impartiva l’ordine della resa e si suicidava dopo aver esclamato “Allende no se rinde, mierda!“. Le persone che si trovavano con Allende alla Moneda venivano in seguito trasferite al Reggimento Tacna, al comando degli ufficiali Ramirez Pineda e Ahumada Valderrama. Successivamente molte di esse, dopo due giorni di percosse e torture, venivano portate al luogo di addestramento dell’esercito in località Pendehue, dove venivano fucilate.
I corpi venivano sepolti in fosse comuni da cui sarebbero stati in seguito rimossi alcuni anni dopo. Solo di recente alcuni sparuti resti rimasti (qualche dente e qualche osso) potevano essere identificati grazie all’analisi del Dna. Fra le persone uccise quel giorno vogliamo in particolare ricordare Juan José Montiglio Murua, all’epoca studente ventiquattrenne, che viene ricordato come un giovane serio, riservato e gentile, ligio fino alla morte al suo dovere di garantire l’incolumità del presidente eletto dal popolo cileno. Un giovane di origini piemontesi. Un eroe quindi non solo del popolo cileno e degli altri popoli latinoamericani, ma anche di quello italiano. Le indagini svoltesi in Cile sull’episodio non hanno dato, finora, risultati. Spetta quindi anche allo Stato italiano, condannando gli assassini di Montiglio e di migliaia e migliaia di altri cileni, fare giustizia, condannando finalmente i responsabili di questo ed altri odiosi crimini contro l’umanità.