“L’arte moderna è un’arte d’invenzione, parte come slancio del cuore. Per la sua stessa essenza, dunque, è più vicina alle arti arcaiche e primitive che all’arte del Rinascimento”. Si apre con questa citazione di Henri Matisse, che riassume esattamente la sua poetica artistica, la mostra “Matisse arabesque”, a cura di Ester Coen, fino al 21 giugno alle Scuderie del Quirinale a Roma. “Arabesque” è la chiave di lettura per descrivere il senso del suo disegno, delle sue linee, dei suoi decori fatti di viluppi e intrecci carichi di suggestioni e ispirati fortemente ai mondi di altre culture, quella orientale soprattutto, interpretata attraverso gli occhi occidentali del pittore con straordinaria modernità.
Nato nel fulgore creativo dell’Ottocento e vissuto fino alla metà del Novecento, Henri Matisse ha disegnato, dipinto, colorato tele e grandi opere su carta dedicandole proprio al tema dell’Arabesco che accompagna lo spettatore, sala dopo sala, in quello che è il suo percorso culturale ed estetico. L’Oriente e l’Africa entrano prepotentemente nelle Scuderie del Quirinale mostrando il volto meno conosciuto e svelando gli aspetti meno noti dell’arte e della vita del pittore, rimasti come “soffocati” dalle sue opere più celebri. 90 capolavori assoluti, alcuni per la prima volta in Italia, tra dipinti, disegni, costumi teatrali, manufatti, maschere provenienti dai più prestigiosi musei americani ed europei, tra cui il Metropolitan e il MoMA di New York, con un contributo particolarmente rilevante del Museo Puškin di Mosca e dell’Ermitage di San Pietroburgo le cui collezioni matissiane sono tra le più ricche e importanti del mondo.
Autonomo e distinto rispetto alle principali avanguardie, Matisse è stato un pittore rivoluzionario nella storia del Novecento, lontano tanto dal rigore prospettico classicista quanto dalla decostruzione formale del cubismo, una sorta di anti-Picasso capace di concepire una nuova idea di spazio ispirandosi a modelli esotici. E l’obiettivo principale dell’esposizione è proprio quello di mostrare come il motivo della decorazione coniugato sulle suggestioni orientaliste diventi per l’artista la ragione primaria di una radicale indagine sulla pittura, una pittura che matura un linguaggio incurante dell’esattezza delle forme naturali dove l’Oriente, con i suoi artifici e i suoi motivi, suggerisce uno spazio più plastico fatto di colori vibranti, luminosi, smagliati accostati con grande azzardo e originalità. I colori per Matisse non dovevano essere mescolati, ma ciascuno doveva mantenere la propria purezza per rivelare la superficie del quadro nella sua totalità e immediatezza: “Il colore – diceva – esiste in se stesso, possied e una sua speciale bellezza” e non era mai legato alla realtà osservata ma concepito come forza evocativa e immagine dell’interiorità volta a esaltare la relazione tra l’oggetto e la personalità dell’artista.
Ad accogliere lo spettatore nella prima sala c’è la monumentale natura morta Gigli, Iris e Mimose, del 1913, che anticipa la magia cromatica dei toni dell’azzurro e del verde ripresa dalla ceramica ottomana e nord-africana del XV e XVI secolo. E dopo, una serie di eccezionali ritratti che raccontano la trasformazione sempre più essenziale del tratto dell’artista: dall’Italiana alla Ragazza con copricapo persiano alle Tre sorelle, in cui tutti i visi sono pacatamente inespressivi. Poi le figure di odalische quasi sempre incastonate in interni ricercati, donne dalla compattezza statuaria davanti a cui l’artista mantiene una serenità sentimentale e sessuale assoluta che quasi le rende astratte come in Odalisca blu o Due modelle che si riposano. E ancora i nudi, a seguire i costumi che raccontano la sua collaborazione con i Balletti Russi, gli alberi fino ad arrivare a Interno a Etretat, dove il tema della finestra diventa emblema e metafora della pittura, filtro tra sé e il mondo, ma allo stesso tempo confine comune tra sé e lo spettatore. A concludere il percorso, il capolavoro del 1911, Pesci rossi, evoluzione verso una pittura sempre più semplificata dove i pesci sono l’elemento di colore che orienta lo sguardo all’interno del dipinto. Un’opera che conduce il visitatore all’ultima citazione che chiude il percorso e racchiude il senso della mostra e dell’arte geniale di Matisse: “I mezzi con cui si dipinge non possono mai essere abbastanza semplici. Mi son sempre sforzato di diventare più semplice. Ma la massima semplicità coincide con la massima pienezza. Chi lavora con mezzi semplici non deve aver paura di diventare apparentemente banale”.