L'associazione dei cardiologi e uno studio dell'Università di Cambridge smentiscono i pregiudizi intorno alla carbofobia. Carlo La Vecchia, professore di Epidemiologia all’Università di Milano: "Solo un deficit calorico ci protegge, non l’esclusione dalla dieta di alcune sostanze"
L’Expo sull’alimentazione è alle porte. Ma noi quanto sappiamo del rapporto tra dieta e salute? Poco, sembra. Per l’Anmco, associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, 40 anni di terrorismo mediatico contro grassi, pasta e carne hanno prodotto cattive abitudini, ossessioni e confusione nei consumatori. Complice l’approccio riduzionista tipico della ricerca nutrizionale, che studia i singoli nutrienti anziché la composizione complessiva della nostra dieta considerando anche la qualità degli ingredienti. Secondo molti studi epidemiologici, un eccesso di grassi saturi, carboidrati, latticini o proteine, non farebbe aumentare il rischio di malattie cardiovascolari.
Il tema è stato oggetto del convegno internazionale “Food Science and Food Ingredients” che si è tenuto a fine marzo a Palazzo Strozzi, Firenze, curato dall’associazione di cardiologi. “Non esistono evidenze scientifiche certe per stabilire che questi alimenti provocano il rischio di infarto e obesità. L’alimentazione è un settore della ricerca ancora molto trascurato. C’è scarso interesse da parte degli sponsor. I governi dovrebbero occuparsi di più della salute dei cittadini investendo risorse per la ricerca”, ci ha detto Michele Gulizia, presidente Anmco, e primario di cardiologia all’Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania. Intanto si è fatta largo una cultura che ha demonizzato gli zuccheri. Tanto per dire, in più di 20mila pubblicazioni recensite nel 2013 da PubMed (cioè circa otto articoli al giorno) si fa riferimento al presunto legame tra zuccheri e obesità.
Oggi la scienza smentisce i pregiudizi. Uno studio dell’Università di Cambridge, pubblicato il 18 marzo 2014 sulla rivista americana Annals of international medicine, ha passato in rassegna 80 ricerche su oltre 500mila persone e ha concluso che non ci sono abbastanza prove per affermare che un basso consumo di grassi saturi prevenga la comparsa di cardiopatie. Il 12 giugno scorso il settimanale americano Time è uscito con una copertina con scritto “Eat butter” (mangiate il burro) e all’interno un’inchiesta che dimostra come oltre trent’anni di campagne “antigrassi” negli Stati Uniti non hanno ridotto obesità e malattie cardiovascolari.
“La carbofobia, l’eliminazione di pane, pasta e dolci, è una moda dannosa – avverte Gulizia -. I carboidrati rilasciano zuccheri immediati nel sangue, anche i grassi fanno bene in piccola quantità, liberando energia quando l’organismo ne ha bisogno, le proteine invece servono per i ricambi cellulari. Frutta, verdura e cereali vanno sempre favoriti. In quantità giusta tutto fa bene. Un errore frequente – sottolinea – è mangiare alimenti grassi solo nel fine settimana. Un consumo concentrato provoca un accumulo di lipidi nelle arterie che non viene smaltito. Al contrario, un limitato consumo giornaliero, con un minimo di attività fisica, permette all’organismo di bruciarli”.
In base a uno studio del 2003, dosi settimanali di prodotti ricchi di carboidrati (dal pane alla pasta, riso, patate, dolci) sviluppano un’incidenza di infarto al miocardio in media dello 0,99 per cento. Il valore si abbassa a 0,17 nel latte, 0,15 in formaggi, yogurt e uova. “Trend bassi, poco significativi – commenta Carlo La Vecchia, professore di Epidemiologia all’Università di Milano -. Anche il colesterolo nel sangue non è influenzato da quello contenuto nei cibi che mangiamo, per esempio uova e burro, ma deriva dalla sintesi epatica di tutto quello che ingeriamo e da altri aspetti. L’unico modo per prevenire il colesterolo alto è mangiare di meno. Solo un deficit calorico ci protegge, non l’esclusione dalla dieta di alcune sostanze”. L’alcol è salutare in dosi moderate, “fino a due/tre bicchieri al giorno – continua il professore -, oltre ci espone all’infarto”.
I falsi miti sul cibo hanno condizionato le stesse raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e di riflesso le linee guida per un’alimentazione sana dei governi del Pianeta. Per esempio, in un report del 4 marzo in merito allo zucchero, l’invito al consumo sotto il cinque per cento dell’apporto calorico giornaliero al fine di prevenire le carie dentali, si basa su evidenze molto deboli e prive di certezze (così viene specificato sul documento) che risalgono agli anni Sessanta. La fonte sono quattro studi osservazionali fatti in Giappone per indagare sui motivi dell’insorgenza maggiore delle carie in adulti e bambini di quella nei paesi più industrializzati, come Stati Uniti e Europa del nord. “In questo caso dipendeva da cattive abitudini, come assunzione di zuccheri a tutte le ore e scarsa igiene dentale” spiega Gulizia.