Negli ultimi dieci giorni si sono moltiplicati gli interventi – sia governativi che di maggioranza – sull’Università e sulla necessità di una sua nuova riforma. Ancora? Sì, non vogliamo mica lasciarla sola questa università… In fondo la ‘riforma’ Gelmini è ‘solo’ del 2010, e ha fatto abbastanza danni; vediamo se si può fare qualcosina di più, in perfetta continuità. Ecco quindi che la ministro Giannini è comparsa a Repubblica Tv annunciando che “Toglieremo l’università dal regime contrattuale della funzione pubblica”, mentre la senatrice Puglisi, referente del Pd per l’università, dichiara allo stesso quotidiano che occorrerebbe “sottrarre l’università dai vincoli della pubblica amministrazione“, infine spunta in questi giorni anche un documento sulla ‘buona università’, di cui diremo più sotto.
Non sono, queste di Giannini e Puglisi, affermazioni da poco: esse hanno tutta l’aria di proseguire la privatizzazione strisciante degli atenei. La stessa avviata nel 2008 dal governo Berlusconi, con la legge 133 (che provocò le proteste dell’ ‘Onda’) ma in più introducendo anche nell’università, per bocca della Puglisi, un contratto a “tutele crescenti”…
Secondo la responsabile del Pd queste idee sarebbero anche state discusse durante una giornata di ascolto, organizzata dal Pd il 28 marzo. Peccato che non sia così. Se giornata di ‘ascolto’ significa riunire una rappresentanza delle persone che nell’università ci lavorano e sentire cosa hanno da dire, non si può affermare ex post che ciò che l’organizzatore aveva in mente sia stato condiviso da tutti quelli che ascoltavano. La Rete29Aprile a quella giornata c’era, con una decina di interventi: e possiamo dire che a parte la relazione iniziale (sottolineiamo iniziale) della stessa senatrice Puglisi, che ha esplicitato l’intenzione di “sottrarre gli atenei dal profilo del diritto amministrativo e dai vincoli che annodano la pubblica amministrazione”, il seguito della discussione si è mosso su altri temi: la necessità non più rinviabile di finanziare in modo deciso la ricerca di base, l’ingresso in ruolo ‘vero’ (per essere chiari: a tempo indeterminato) di un grande numero di attuali precari (almeno 10.000 in un quinquennio) e la pianificazione stabile e continua del reclutamento; il finanziamento del diritto allo studio, l’investimento in dotazioni, come strumentazioni, laboratori, biblioteche e servizi per la ricerca e per gli studenti; e, ancora, la necessità di rivedere le modalità pasticciate e costosissime con le quali l’Anvur, vero e proprio burosauro, è stata costruita e opera.
La Rete29Aprile e altre organizzazioni hanno poi riproposto, anche in occasione della ‘giornata di ascolto’, il ruolo unico della docenza per far sì che vecchie ed ingiustificate posizioni dominanti, basate su un forte potere di ricatto dovuto al monopolio delle decisioni, siano rimpiazzate da una ‘comunità di pari’ in grado di recuperare quell’etica condivisa indispensabile per una Università moderna e collaborativa. ‘Ruolo unico’ che disinnescherebbe anche l’enorme bagarre ‘tutti contro tutti’ che, complici i continui tagli, è prevedibile che si verifichi al momento delle prime progressioni, aggravando tensioni già al limite (se ne è parlato qui e qui).
Invece nulla di tutto questo viene ricordato, ma dal cappello spuntano fuori le parole chiave “sottrazione della Università alla pubblica amministrazione” e “Jobs Act per l’Università”. Scusate, dovremmo dire “buona università e la buona ricerca”, secondo il documento alle origini delle indiscrezioni giornalistiche che circola in maniera carbonara e che è stato generato, nel gennaio di quest’anno, dal portatile del deputato Gianclaudio Bressa, compagno della senatrice Puglisi. A parte l’aspetto della ripetitività nella scelta dei termini, che dimostra molta ansia comunicativa ma anche un’assillante povertà di contenuti, colpisce che il tutto (o il poco fumoso già reso pubblico) sia stato elaborato in una cerchia ristretta e distillato in indiscrezioni alla stampa nelle quali si promettono miracoli.
Una malattia comportamentale, un solipsismo di fondo: facciamo tra noi, riuniamo alcuni rettori, alcuni docenti amici, lanciamo quale idea mainstream, ma in inglese, che fa fico, e diamo una stretta ulteriore a una macchina già stressata da tagli e burocrazia, da apprendisti stregoni della bibliometria e da felici dilettanti. Ciò che si capisce di sicuro è che questo ventilato Jobs act varrebbe per i futuri passaggi di carriera e per le nuove assunzioni, quindi escluderebbe l’élite dei diritti acquisiti, quei rettori e quegli ordinari che detengono al momento tutte le leve di comando negli Atenei. Et voilà: tutti precari di fronte al re = nessun precario nel reame?
Il percorso è iniziato, però, viste le premesse, e visto che ci siamo già confrontati con governi che dichiaravano di volere delle riforme ‘per i giovani’ e ‘contro i baroni’, mentre facevano l’esatto opposto, pensiamo di essere sempre di fronte a posizioni che tendono a considerare la precarietà come norma e puntano allo smantellamento della gran parte del sistema universitario pubblico in favore della privatizzazione degli atenei.
L’Italia è la Cenerentola d’Europa quanto a numero di laureati per abitanti ed entità dei finanziamenti per ricerca e sviluppo. Lo si sa da tempo. Nel documento del Pd solo il primo punto è rilevato, il secondo invece scompare e non se ne parla proprio. “Buona università” a tutti…