Bambini con gravi patologie. Ustionati gravi. Pazienti con tumori cutanei, cicatrici, esiti di traumi, malformazioni fisiche (labbro leporino, dita unite). Il chirurgo cremonese Marco Stabile – 54 anni, sposato, due figli, libero professionista e responsabile della Chirurgia plastica dell’Asl di Piacenza – si trova di fronte queste persone nelle sue missioni nel Paesi di Terzo mondo e non solo per aiutare le popolazioni in difficoltà. La prima in Togo, nel 2010; l’ultima, tre mesi fa, in Paraguay. Dove, in due settimane, ha effettuato oltre 160 interventi. Stabile è anche il fondatore dell’Aicpe onlus (Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica): nata nel settembre 2011, ha lo scopo di promuovere la formazione e la pratica in chirurgia plastica estetica favorendo uno scambio di conoscenze tra i chirurghi qualificati. Ne fanno parte 7 medici, di cui tre impegnati in missioni, “ma molti specializzandi vorrebbero darci una mano”.
Il medico racconta a ilfattoquotidiano.it come e quando tutto ebbe inizio. Ad un congresso, sei anni fa, incontrò un amico e collega di Roma che aveva già fatto esperienze simili. “Che fai in Africa?, gli chiesi”. “Il chirurgo plastico”. “Posso venire anch’io?”. E via con la prima missione nel Continente nero. Quattro missioni in tutto, finora, nel Togo. Poi dopo l’epidemia di Ebola, l’estate scorsa (il primo caso transitò dalla capitale Lomè prima di arrivare in Sierra Leone), la decisione di evitare un ulteriore viaggio in Africa, e da qui la scelta del Paraguay.
Un Paese che Stabile evoca con particolare soddisfazione: “Un altro mondo rispetto all’Africa. I malati sono malati ovunque ma, a differenza che nel Togo, in Paraguay c’è anche gente che sta parecchio bene e vive in maniera agiata”. Eppoi lì siete stati accolti in pompa magna. “Assolutamente sì. Il ministero della Salute paraguaiano ha voluto rendere ufficiale la nostra missione con un ricevimento formale alla presenza addirittura del presidente della Repubblica e di mezzo parlamento”.
Appena prima di partire come ti senti? “Quando salgo sull’aereo capisco che la missione sta iniziando per davvero. Nei mesi precedenti ci pensi: programmi, ti rivedi nella missione dell’anno scorso. Poi la routine ti travolge e non ci pensi più”. E quando torni? “La missione africana mi dà una bella forza interiore. Torni che sei felice. Non so come dirtelo. Sei conscio di avere fatto del bene a persone sfortunate. Rientrato a casa, riprendo il lavoro ed incontro le pazienti in ambulatorio che magari si lamentano per il piccolo inestetismo – osserva -. Mi viene da sorridere e penso che quella paziente se mi avesse accompagnato in Togo o in Paraguay forse all’inestetismo ci passerebbe sopra”.
Stabile spiega che ti devi sapere adattare a tutto, laggiù, quando ti trovi di fronte certe situazioni: “Gli odori di ogni tipo, le patologie deturpanti”. E aggiunge. “Certamente si dà il meglio, ma c’è sempre da imparare, anche dalla dignità dei pazienti. Una cosa che mi ha colpito è che loro sanno stare in silenzio in coda per ore fuori dall’ambulatorio senza lamentarsi, in attesa del loro turno. Magari succedesse nei nostri ospedali”.
Le giornate passate ad aiutare i bisognosi iniziano presto e finiscono tardi. “Tanta sala operatoria e il giro delle visite ai pazienti ricoverati. La sala ha tutto ciò che serve per un intervento, ma è indietro 20 anni, soprattutto in Africa. Gli anestesisti, come li conosciamo noi, non esistono: non sono medici, sono infermieri che hanno imparato a fare gli anestesisti. Ciononostante sono bravissimi”.
Una figura che a Stabile è molto cara è suor Simona, chirurgo responsabile in Togo. “Una santa donna delle Misericordine di Monza che organizza le missioni intraday nei villaggi per fare lo screening dell’Aids. Guida una jeep, anche molto velocemente, con la quale percorre sentieri sperduti”.
Il suo racconto si chiude con un messaggio, che è poi in linea con la mission dell’associazione (“Svolgere attività di beneficenza e solidarietà in favore di persone svantaggiate a causa di sfavorevoli condizioni psico-fisiche o economico-sociali, con particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo”). “Se fossi ricco, o vincessi al Superenalotto – confida Stabile – lascerei la libera professione, prenderei su la mia famiglia e andrei ad aiutare chi ha veramente bisogno”.
Twitter: @bacchettasimone