La sua autobiografia è la storia di un rivoluzionario della cultura occidentale, “una sequela di capriole cosmiche”. Personaggi come Guizzino e Federico sono ancora oggi familiari ai bambini, e i suoi albi illustrati hanno cambiato tutto
Che libro, questo “Tra i miei mondi – Un’autobiografia” di Leo Lionni (1910-1999), edito da Donzelli. La storia di un rivoluzionario della cultura occidentale, “una sequela di capriole cosmiche”. Sarà che di uomini così, neo-rinascimentali, ma in chiave di progresso e di miracolo economico e di proliferazione in fondo del made in Italy nel mondo, non se ne fanno più. Che mondi, ognuno strettamente intrecciato all’altro e al quadro d’insieme, quelli visitati da questo volume elegante, seducente, ricco di immagini preziose e racconti emblematici, scritto con penna magnifica, in cui Leo Lionni ripercorre la sua lunga e mirabile esistenza. Il Novecento, che lui ha vissuto in toto, è stato anche questo: umanità, umiltà, candore e poesia. Dalla nativa Olanda, “nel 1910, l’anno in cui sono nato, Amsterdam era la capitale mondiale dell’industria dei diamanti”, e suo padre ne faceva commercio (mentre sua madre era una apprezzata cantante lirica); all’Italia, dove trascorse come prima tranche de vie la sua adolescenza e la sua giovinezza. E poi gli Stati Uniti, dove Lionni approdò nel 1939 in seguito alle leggi razziali e dove divenne presto arcifamoso in campo pubblicitario, grafico e di design, naturalizzandosi americano.
Negli anni a stelle e strisce è stato un divo involontario. Veniva accostato ai guru mondiali del design. “Sebbene il mio portfolio non scoppiasse per le centinaia di bozze e bozzetti, tuttavia conteneva la documentazione di una gran varietà di progetti memorabili, che andavano dalla serie “Mai sottovalutare il potere di una donna” a “Grandi idee dell’uomo occidentale”; dai negozi Olivetti ai centoventi numeri di Fortune che avevo curato – scrive -. Avevo poi ideato il libro “The family of man”, creato la rivista “Print”; disegnato “Sport illustrated”. Eppure in tutti quegli anni riuscii a restare fedele al mio voto giovanile di diventare non uno specialista, ma un artista nel senso più ampio del termine”. Oltre alla grafica, infatti, Lionni sempre più dipingeva, scolpiva, ritagliava. Tutto il potere al suo spirito-guida poliedrico. “Avevo le mani in pasta, come si dice. Avevo creato e fatto”.
Seguì un clamoroso ritorno in Italia, in pianta stabile, la Toscana, e il Chianti, eletti a buen retiri creativi. L’avventura della scrittura di libri per ragazzi che hanno fatto epoca, autentici spartiacque nel genere, a partire da “Piccolo blu e piccolo giallo” del 1959. Il fanciullo che dominò il suo fantastico teatro interiore, dal suo primo al suo ultimo giorno, si guadagnava così anche la pubblica ribalta. I ritratti immaginari, la “botanica parallela”; pure come narratore per l’infanzia Leo Lionni assurse presto al rango di mito. Personaggi come Guizzino e Federico sono ancora oggi familiari ai bambini, e i suoi albi illustrati hanno cambiato tutto. Guizzino, in particolar modo, pesce formato da tanti pesciolini e con un pesce-occhio guida, è trasceso in icona: viene tuttora sventolato sulle bandiere o sugli striscioni nelle manifestazioni di protesta. I picture book di Lionni erano intrisi di valori come l’amicizia, la solidarietà, la pace e l’elogio della diversità. “Si dice che per scrivere per i bambini devi essere bambino, mentre è vero l’opposto. Scrivendo per i bambini, bisogna fare un passo indietro e guardare al bambino dalla prospettiva di un adulto”. Perché i bambini reclamano attenzione e serietà, e soprattutto pensiero e tensione ideale. E lui non smise mai di “provare nostalgia, nel profondo, per i sogni infantili di un mondo a scala diversa e più comprensibile, un anelito a un piccolo recinto dalle pareti trasparenti in cui ogni piccola cosa fosse visibile, con i contorni netti nel sole della sera”. “Sono un pittore che fa anche grafica e scultura”. Poi, certo, “scrivere è un’altra storia”.