A quel refrain: “Ce lo chiede l’Europa!”, rispondere con una grande, sonora pernacchia.
Tenetelo a mente quando poi un bellimbusto del potere italiano dirà: ma ce lo chiede l’Europa! Il refrain che ha coperto ogni malefatta, giustificando miliardi al vento e opere di dubbia utilità. L’ipocrisia con la quale utilizziamo l’Europa per contrastare non con la ragione ma con obblighi inderogabili (vedi la costruzione di supertratte ferroviarie per merci dette Tav) l’avanzamento ad ogni costo dei lavori e delle spese (a volte superflue, a volte non urgentissime, a volte disastrose per l’ambiente) fa il paio con l’afasia che ci coglie quando dovremmo essere noi a chiedere conto all’Europa.
L’ecatombe dei migranti nel Mediterraneo è conseguenza diretta e prevedibile del totale disinteresse nel quale l’Unione europea lascia l’Italia. Se quel mare è un cimitero e se la società italiana sta piegando verso forme nuove e larghe di xenofobia è anche perché non esiste il minimo sentimento di amicizia verso il nostro Stato e la minima solidarietà verso esseri umani che sono in una fuga disperata e il più delle volte mortale. “Stanno al balcone a guardare”, ha detto il vescovo di Agrigento. Il governo italiano ha reso mezzi, impiegato risorse per fare la sua parte. E’ chiaro che da soli tra un po’ non si potrà far altro che raccogliere quel che resta dei cadaveri. Avremmo dovuto, non da oggi e con ben altra determinazione, chiedere all’Europa di fare la sua parte. Questa disgrazia planetaria chiama il mondo ricco ad essere in campo (meglio: in mare) per gestirla, ridurla, debellarla. Non a squagliarsela.
Quindi quando ascoltate – prevedibilmente su altri temi – quel refrain: ‘ma ce lo chiede l’Europa!’ rispondete con una grande, sonora pernacchia.