Dopo avere recensito in due riprese il libro di Graeme Mcqueen pensavo di prendermi una pausa cambiando argomento. E annuncio che lo farò a breve. Ma non vorrei abbandonare la discussione di fronte a domande così “inquietanti” come quelle che alcuni lettori mi lanciano in tono di sfida. Invitandomi a rispondere nel merito. Lo farò tra poco. Non senza rilevare, a uso e consumo dei lettori davvero interessati, che sono davvero  colpito dal fatto che moltissimi commenti, su determinati temi come quelli di cui qui trattiamo, non entrano nemmeno nel merito di quello che ho scritto, sebbene nei due casi affrontati dai miei ultimi due post, è evidente che si tratta di cose nuove, non ancora note né al grande pubblico, e nemmeno a quelli che si sono già cimentati su queste questioni. Mi sarei infatti aspettato una discussione, magari anche rovente, sulla stranissima storia dei “dirottatori”, nelle immediate vicinanze della vicenda antrace, in Florida, e nelle immediatissime vicinanze dei 120 agenti segreti israeliani travestiti da studenti di arte. Invece niente di niente.

Ma lasciamo stare questo aspetto, che conferma come il web sia davvero un “posto speciale”.

Rispondo invece ad alcune delle storiche domande “nel merito”.

Dire che la presenza dei diciannove “dirottarori” a bordo dei quattro aerei è esaurientemente documentata – tanto meno “certificata” – cozza con decine di elementi di fatto. Io, piuttosto che affermare che le due compagnie aeree (che diedero le liste dei passeggeri, in diverse edizioni, per altro) furono “complici del complotto”, direi che solo una ingenuità spropositata può far ritenere veritieri quei documenti. Entrambe le compagnie sono state sicuramente oggetto di fortissime pressioni perché emettessero quei documenti. Lo prova il fatto che, appunto, diedero elenchi diversi, in diversi momenti delle cosiddette indagini. Noi italiani sappiamo come si fanno certe indagini. Lo sappiamo per esperienza. Se ancora non si sa come e dove fu assassinato,  quaranta anni dopo, Aldo Moro, è perché i depistaggi nei corpi dello stato, polizia, servizi segreti, servizi esteri, sono stati potentissimi. E protagonisti dei depistaggi furono non i servizi segreti dell’Islanda, ma la Cia. La strana inchiesta “ufficiale”, cioè il “9/11 Commission Report” fu fatta senza sottoporre i testimoni al giuramento. Che in America è arma potente per “costringere” a dire la verità. Neanche Bush e Cheney testimoniarono mai di fronte a un tribunale e sotto vincolo di giuramento. Tutta quell’inchiesta è invalida da un punto di vista formale, poiché le “verifiche” furono fatte tutte (senza eccezione alcuna) da organismi dipendenti dal potere esecutivo. Il Nist (National Institute for Standards and Technologies), ad esempio, quello che alla fine dei conti ha dato quattro diverse versioni del crollo dell’edificio N.7 del Wtc, era un’istituzione governativa, sottoposta a pressioni evidenti del “datore di lavoro”. Non c’è mai stata una controprova al di sopra di ogni sospetto. Le controprove, per quanto fu possibile, le hanno fatte i contestatori della versione ufficiale, definiti complottisti.

Lo stesso “9/11 Commission Report” ha una credibilità pari a zero, se si tiene conto che in tutto il rapporto non viene fatto nessun cenno al crollo della terza torre, appunto il Wtc 7. Aveva il compito di indagare, e non “si accorse” che le torri crollate erano tre. Dunque credere alle liste presentate dalle due compagnie aeree, in quelle condizioni, è cosa ridicola. Non c’è alcuna certificazione indipendente di quei documenti. Bisogna credere sulla parola all’Fbi. Questione di fede. Che, per gli adepti  del Cicap, è cosa ben strana. Certo, io non ho prove, non so dove e come quei funzionari furono coartati. Posso soltanto dire che so come si fanno queste cose e che chi ha il potere di farlo lo ha sempre fatto.

Seconda domanda. “Se i 19 non erano a bordo, chi fu a dirottare materialmente quei voli? Ci sono documenti in abbondanza, che certificano che la società Raitheon effettuò in quegli anni, prima dell’11/9, decine di esperimenti di pilotaggio da terra di aerei passeggeri di grandi dimensioni, senza equipaggio a bordo. Questa non è un’ipotesi. I droni esistevano già nel 2001. Mettere fuori combattimento un equipaggio in una frazione di secondo è possibile con un dispositivo a distanza che spezza una fialetta di gas mortale. E’ solo un’ipotesi, ma, per esempio, spiegherebbe benissimo come mai nessuno degli otto piloti sia riuscito a digitare quattro sole lettere del codice di dirottamento prima di morire. Ma ci sono numerose altre circostanze che l’indagine ufficiale non prese nemmeno in considerazione. Rimando qui non solo al film “Zero”, in cui ne parlammo, ma soprattutto al film , molto più completo e esauriente, di Massimo Mazzucco sulla “seconda Pearl Harbor”. Infine basta andare sul sito Consensus911.org per trovare in abbondanza risposte a queste domande. Certo sono in molti casi delle ipotesi. Ma in molti altri sono prove della falsificazione intenzionale dei dati. Noi non eravamo, per fortuna, su quegli aerei, e non siamo noi che abbiamo fatto le, per altro ridicole, indagini della commissione ufficiale. Quindi anche noi usiamo il “rasoio di Occam”, ma non per farci la barba.

Quanto alla “fine che fecero” i dirottatori presunti (se non fossero stati a bordo), proprio nei film citati (e in molti altri decisivi documentari prodotti in questi anni, per esempio Loose Change), si citano (e si mostrano) le diverse testimonianze di “dirottatori” vivi e vegeti dopo l’11 settembre. Sono dispacci di agenzia delle fonti del mainstream, evidentemente sfuggiti ai controlli, che apparvero nei giorni e settimane immediatamente successivi all’attentato. Di persone, con quei nomi e cognomi, che dichiaravano di essere vive. Se non vado errato (non ho tempo di andare a controllare, ma lo può fare chiunque) furono sei. Tra le altre cose che riportammo nel film “Zero” ci fu la clamorosa dichiarazione del padre di Mohammed Atta, dal Cairo, che disse di avere ricevuto una telefonata dal figlio qualche giorno dopo la sua “morte” nello schianto di una delle due torri. Poi quelle informazioni sparirono dalla vista. Nessun giornale andò a verificarle. Magari solo per scoprire che quelle persone avevano subito il furto dei loro documenti? E, in ogni caso, come mai non risulta nessuno sforzo della Commissione Speciale per andare a fare delle verifiche?

Per cui non sappiamo che fine hanno fatto quelli che commisero l’imprudenza di “rivelarsi”. Ma, anche qui, chi è l’ingenuo che pensa che i diciannove presunti dirottatori siano rimasti in vita, per raccontarlo, più di una decina di giorni? Certo, io una testimonianza “verificabile” di quelle liquidazioni non ce l’ho. E chi potrebbe averla? Lo vengono a raccontare a me in quale colonna sono stati cementificati? O da quale coccodrillo sono stati digeriti? Ma il problema è proprio questo: io avanzo dubbi perché solo questo posso fare. L’onere della prova sta in quelli che fecero delle affermazioni senza mai neppure tentare di “verificarle”. Dunque credergli è questione di fede.

Infine: io non ho nessuna intenzione di perdere tempo a “contattare” la United Airlines e la American Airlines. Perché sarebbe, appunto, una comica perdita di tempo. Solo uno sciocco può pensare di ottenere risposte credibili da chi ha probabilmente mentito, sempre che sia ancora vivo. A meno di poterlo interrogare in un processo regolare. Ma di processi ce ne fu uno solo, a distanza di otto anni. Contro Moussaoui. E chiamarlo “regolare” è un’offesa alla giurisprudenza mondiale. Come lo furono  le  inchieste sull’assassinio dei due fratelli Kennedy.

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