Un invito di Lilli Gruber a Otto e mezzo è stato l’occasione per discutere con Stefania Craxi della serie tv “1992” e, più in generale, di Mani pulite. Nello spazio di un programma tv non è possibile riuscire a dire tutto ciò che si vorrebbe. Ecco qui alcune delle cose che non ho potuto esporre e argomentare.
Una figlia ha sempre il diritto di difendere il padre, chiunque sia e qualunque cosa abbia fatto. Ma è bene che la vicenda giudiziaria di Bettino Craxi e la tragedia di Tangentopoli siano affrontate con l’oggettività di un osservatore più distaccato. E allora. Si può distinguere tra finanziamento illecito e corruzione, ammettendo che nella Prima Repubblica i partiti si finanziavano in maniera illecita, ma non tutti i politici erano corrotti?
Difficile distinguere. Perché Craxi è stato condannato in via definitiva, oltre che per finanziamento illecito (4 anni e 6 mesi per le tangenti della metropolitana milanese), anche per corruzione: 5 anni e 6 mesi per le mazzette Eni-Sai. E perché la caccia al tesoro di Craxi (almeno 150 miliardi di lire) è stata fatta non nelle casse del partito, ma nei conti esteri in giro per il mondo (Svizzera, Liechtenstein, Hong Kong, Panama, Bahamas) che non erano nelle disponibilità del segretario amministrativo del partito, bensì dei prestanome di Bettino (Giallombardo, Tradati, Raggio, Vallado, Larini, Troielli, Ruju).
Dice la sentenza All Iberian a proposito dei conti Constellation Financiere (banca Sbs di Chiasso) e Northern Holding (Claridien Bank di Ginevra): “La gestione di tali conti…non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari…Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti”.
Parte dei soldi vanno a finanziare acquisti “privati”: tra questi, un appartamento a New York, una villa per il fratello Antonio, un hotel a Roma e una stazione televisiva per Anja Pieroni. Comunque, continuo a ritenere che incassare tangenti per il partito sia più grave che pretenderle per sé: perché così si trucca il gioco democratico, si “droga” la democrazia.
L’Italia della Prima Repubblica era florida e funzionava bene? È smentito dai costi e dai tempi di realizzazione delle opere pubbliche: la linea 3 della metropolitana a Milano costa 192 miliardi di lire a chilometro, contro i 45 della metropolitana di Amburgo; il passante ferroviario milanese 100 miliardi a chilometro in dodici anni di lavori, mentre il passante di Zurigo, costruito in sette anni, costa 50 miliardi a chilometro; i lavori per l’ampliamento dello stadio di San Siro durano più di due anni e costano oltre 180 miliardi, quelli dello stadio olimpico di Barcellona vengono completati in diciotto mesi, con un investimento che non supera i 45 miliardi.
Non solo. Tangentopoli è un sistema di finanziamento dei partiti, ma è, contemporaneamente: per le imprese un sistema di accordi di cartello che azzera il mercato e la libera concorrenza, dilatando i costi delle opere pubbliche; per i partiti un sistema di formazione del consenso che usa il denaro pubblico senza badare né all’utilità delle opere realizzate, né all’efficienza dei servizi prestati, né alla compatibilità con i conti dello Stato.
Gli effetti sono devastanti: il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo in Italia è del 60 per cento nel 1980 e sale al 70 per cento nel 1983 (fine del governo Spadolini); nel quadriennio successivo fino al 1987 (governo Craxi) raggiunge il 92 per cento e tocca addirittura il 118 per cento nel 1992, anno del crollo della lira e del rischio d’insolvenza dello Stato. In quel fatidico 1992, il tasso d’inflazione è al 6,9 per cento, il deficit di bilancio all’11 per cento, il debito pubblico al 118 per cento del Pil.