Secondo i pm della procura palermitana l'ex numero 10 rosanero si rivolse al figlio del boss Lauricella per recuperare somme di denaro vantate da un ex fisioterapista del club. E quello con il boss della Kalsa non è l'unico rapporto pericoloso del calciatore salentino
Due anni fa si mise teatralmente a piangere davanti ai giornalisti per chiedere scusa: le lacrime amare però Fabrizio Miccoli le starà probabilmente versando in queste ore. La Procura di Palermo ha infatti iscritto l’ex numero dieci dei rosanero nel registro degli indagati: è accusato di estorsione. Secondo gli inquirenti il calciatore salentino avrebbe incaricato l’amico Mauro Lauricella, figlio del boss mafioso della Kalsa Salvatore detto Scintilluni, di recuperare alcune somme di denaro vantate da un ex fisioterapista del Palermo Calcio. L’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci va avanti da due anni: e oggi sono scattate le manette per Lauricella junior e per Gioacchino Alioto, detto zu’ Gino, indicato come personaggio al soldo di alcune famiglie mafiose già negli anni ’80 da Tommaso Buscetta. Nel periodo di permanenza nella squadra di Zamparini, Miccoli si era legato fraternamente a Lauricella Junior: su Facebook erano decine le foto che li ritraevano insieme. Ed è proprio Lauricella “l’esattore” chiamato in causa dal fantasista per recuperare quel credito vantato dall’ex fisioterapista del Palermo Calcio nei confronti di alcuni soci di una discoteca.
Nel 2010, dunque, il figlio d’arte dello Scintilluni avrebbe incontrato, accompagnato da Alioto, uno dei debitori, estorcendogli migliaia di euro. “Non sono mafioso, non mi piacciono le cose che fa la mafia”, diceva Miccoli in lacrime nel giugno 2013, quando erano state diffuse alcune intercettazioni telefoniche e il procuratore Agueci lo aveva interrogato per quattro ore. “Ci vediamo dove c’è l’albero di quel fango di Falcone” diceva il calciatore, ridendo con Lauricella Junior. “Quelle cose su Falcone non le pensavo”, si era giustificato Miccoli. Che in un’altra occasione aveva telefonato ad un altro amico siciliano, Francesco Guttadauro, cioè il nipote del latitante Matteo Messina Denaro. “Non venire al campo: ci sono gli sbirri nuovi” era stato l’avvertimento del Romario del Salento al nipote dell’ultima primula rossa di Cosa Nostra. In un’altra occasione, invece, il Ros dei Carabinieri documentava come Miccoli si trovasse in compagnia di Guttadauro Junior, mentre quest’ultimo incontrava Paolo Forte, indicato come uno dei fiancheggiatori di Messina Denaro. Ma non solo: i rapporti pericolosi dell’ex capitano rosanero si estendono anche a Luigi Giardina, cognato di Gianni Nicchi, detto u Tiramisù, il boss di Pagliarelli arrestato nel 2009, e a Nicola Milano, boss del mandamento di Porta Nuova.
“Io ho cercato solo di comportarmi da persona normale, frequentando tutti senza chiedermi prima le origini delle persone”, era stata la giustificazione dell’attuale numero dieci del Lecce. E se oggi Miccoli è probabilmente il primo caso di calciatore indagato per estorsione in un’inchiesta che coinvolge Cosa Nostra, in passato i precedenti in cui assi del pallone venivano avvistati con capibastone e mammasantissima si sprecano. Il più famoso è il caso di Diego Armando Maradona, intimo di parecchi camorristi nel periodo napoletano. “Maradona si rivolse a me nell’occasione in cui subì il furto di una ventina di orologi e del Pallone d’Oro. Gli feci recuperare gli orologi tramite Peppe ‘o biondo che li trovò presso i Picuozzi dei Quartieri Spagnoli, mentre non fu possibile recuperare il Pallone d’Oro che avevano già sciolto”, è il racconto del boss Salvatore Lo Russo, oggi collaboratore di giustizia.
Suo figlio, il boss Antonio Lo Russo conquistò notorietà quando venne fotografato a bordo campo durante la partita Napoli-Parma, nonostante fosse già latitante. Sempre a Palermo, poi, gli ambienti mafiosi della città hanno avuto un interesse particolare per i big rosanero nel decennio di militanza in Serie A. Un interesse che in certi casi veniva ricambiato, come nel caso del duo Miccoli-Lauricella, ma che invece potrebbe essere alla base di certi clamorosi addii: in passato si era parlato di un’eccessiva pressione di ambienti legati a Cosa Nostra dietro la scelta di Edison Cavani di passare a Napoli. Vent’anni fa, invece, i boss di Brancaccio Filippo e Giuseppe Graviano si rivolsero a Marcello Dell’Utri per fare tesserare dalle giovanili del Milan un giovane di talento: era l’inconsapevole Gaetano D’Agostino, che non giocherà mai con i rossoneri arrivando però a vestire l’azzurro della nazionale. Proprio Dell’Utri è storicamente il precursore dei rapporti mafia-football: negli anni ’60, quando era dirigente della Bacigalupo, piccola e gloriosa squadra locale palermitana, aveva scelto come raccattapalle (e forse non solo) il boss di Porta Nuova Vittorio Mangano, poi utilizzato anche ad Arcore come fattore. In campo per qualche anno la maglia numero nove apparteneva invece ad un centravanti molto promettente: si chiama Pietro Grasso, ma poi decise di lasciare perdere il calcio per dedicarsi ad altro.
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