Scoperto il meccanismo che blocca la formazione di nuove stelle nelle galassie: è un processo che ha avuto inizio al centro delle galassie, per poi propagarsi alle regioni più esterne. Pubblicato sulla rivista Science, il risultato è merito del lavoro del gruppo di ricercatori guidati da Sandro Tacchella e Marcella Carollo del Politecnico Federale di Zurigo, e da Alvio Renzini e Gianni Zamorani, dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf)-Osservatorio Astronomico di Padova e Bologna.
Grazie alle osservazioni compiute su 22 galassie con il Very Large Telescope dell’Eso (European Southern Observatory) e il telescopio spaziale Hubble di Nasa ed Esa, i ricercatori hanno dimostrato che tre miliardi di anni dopo il Big Bang, nelle galassie più massicce la formazione di nuove stelle era quasi completamente terminata nelle loro regioni centrali, mentre proseguiva attivamente nella periferia.
Lo stop alla formazione di nuove stelle sembra essere partito dunque dal cuore delle galassie, per poi propagarsi all’esterno. Un processo che è durato pochi miliardi di anni e che aiuta a spiegare l’evoluzione e la forma della galassie come le conosciamo oggi. C’è infatti un annoso dibattito tra gli astronomi sul processo che ha fermato la formazione delle stelle. Quando l’universo aveva solo pochi miliardi di anni, molte delle galassie, che avevano una massa 100 volte superiore a quella solare (dette sferoidi), formavano stelle ad un tasso molto alto.
Oggi, galassie simili sono quiete e non producono stelle, e vengono chiamate dagli astronomi ‘rosse e morte’, per l’abbondanza di stelle rosse e vecchie di molti miliardi di anni e la mancanza di stelle blu giovani. “Questi sferoidi, morti e massicci, contengono circa la metà di tutte le stelle che l’Universo ha prodotto nell’intero arco della sua esistenza – spiega Sandro Tacchella – Non possiamo affermare d’aver compreso come è evoluto l’Universo e come è diventato come lo vediamo oggi senza aver prima capito come si sono formate queste galassie”.