Marco Magalini, giovane giornalista, è andato a caccia di storie di eccellenza per raccontare chi sono, oggi, i talenti del "fatto in Italia" e li ha raccontati in un libro: "Appartengono tutti a quella che io amo chiamare la 'slash generation' –dice a FQ Magazine –. Non si può essere solo designer, bisogna essere anche imprenditori, creativi, comunicatori e molto altro ancora"
Dimenticatevi per un momento i grandi nomi della moda italiana. Chi rappresenta, oggi, il nuovo made in Italy che avanza? E soprattutto: il Belpaese è ancora in grado di accogliere nuove generazioni di imprenditori capaci di veicolare nel mondo l’Italian style? Guardando alla crisi verrebbe da dire di no, anche perché di made in Italy ormai sembra rimasto ben poco. Errore. Perché c’è un’Italia che ci prova, che ha voglia di investire per rilanciarsi, e che, nonostante tutto, ce la fa. “Vedo imprenditori che non si adagiano e continuano a ragionare in grande. Un popolo di lavoratori, più o meno giovani, che cercano di aprirsi al domani con ottimismo” racconta a FQ Magazine Marco Magalini, giovane giornalista di moda che è andato a caccia di storie di eccellenza per raccontare chi sono, oggi, i talenti del “fatto in Italia”. Nel suo libro “Moda. Il nuovo made in Italy” (Giubilei Regnani, prefazione di Enzo Rosso) ha raccolto 12 storie di fashion designer, italiani e non, che hanno deciso di produrre le loro collezioni moda totalmente nel nostro Paese. Una nuova generazione rispetto ai padri fondatori del ready-to-wear italiano che sta traghettando il loro sapere nel futuro, convinta della necessità di recuperare e tramandare la nostra eccellenza manifatturiera e stilistica e diffonderla in tutto il mondo.
Sono imprenditori di successo partiti dal nulla, che non hanno paura di faticare, di mettersi in gioco, sono caparbi, ambiziosi, straordinariamente creativi ma anche profondamente concreti. In Italia hanno trovato l’eccellenza artigianale e un terreno produttivo fertilissimo, esattamente lo stesso che ha fatto grande Armani, Valentino, Prada, favorito da una peculiarità tutta nostra: il localismo. Hanno recuperato le tradizioni locali per vendere su piazze di rilevanza nazionale a clienti internazionali. “In una frase: producono local per vendere global – prosegue Magalini –. Sono espressione di un’Italia che parte dalla forza e dal potere delle mani per poi arrivare a dialogare con tutto il mondo”. Li accomuna l’eccellenza della materie prime, la produzione 100% italiana ma anche un metodo improntato all’innovazione, pur nel rispetto delle tradizioni e del nostro saper fare: lavorano sulla materia, ma pensano anche a nuovi codici che raccontino una storia e coinvolgano la gente. Cercano una moda più indossabile che coniuga stile e qualità e riescono a comunicarla in modo più veloce.
Hanno tutti una forte caratterizzazione, estetica e stilistica, ma anche grande pragmatismo e precisione nella gestione e nella distribuzione del loro brand. Il genio serve sì, ma non può nulla senza il rigore: bisogna rispettare i tempi di consegna, organizzare al meglio la produzione, essere dei businessman e promuovere il proprio brand sfruttando tutti i canali possibili. “Appartengono tutti a quella che io amo chiamare la ‘slash generation‘ – ci rivela Magalini –. Non si può essere solo designer, bisogna essere anche imprenditori, creativi, comunicatori e molto altro ancora. Tenendo ben presente che lavorare nella moda è sacrificio”. L’ha detto la stessa Paula Cademartori, brillante designer di borse basiliana, tra le protagoniste di questo libro: la moda è per il 98% duro lavoro e solo per il 2% glamour. “Ed è indispensabile avere una visione globale”.
Casamadre ad esempio è un brand di calzature che punta tantissimo su Instragram: “Inseriamo molte delle nostre suggestioni e raccontiamo i momenti quotidiani” spiegano i due fondatori. “Una sorta di taccuino di viaggio aperto al pubblico, di album fotografico sempre aggiornato che contiene la sequenza di istantanee che ci ispirano”. Gli scatti raccontano di loro e della loro idea di Italia. Una caffettiera illustrata, scene pittoresche di vita coniugale, fotogrammi della storia del cinema, scatti della loro terra, la Calabria. Un diario personale, romantico, che rivela il mondo in cui vivono con un semplice click. Il loro motto è “We are family“: una sorta di nucleo allargato, modernissimo, aperto alla comunità. Il senso di appartenenza, un’identità forte e la continua ricerca sono la loro anima: una famiglia fondata su valori forti e condivisi. Famiglia in senso lato, come il circo, le cui suggestioni vengono riproposte nelle loro collezioni.
Benedetta Bruzziches è un’altra straordinaria scoperta del nuovo made in Italy: vulcanica, allegria contagiosa, Oliviero Toscani la definisce una pazza scatenata mentre Giorgio Napolitano l’ha elevata a esempio per le donne italiane. Gira l’Italia in lungo e in largo per raccontare la sua favola reale: è certa di avere la ricetta per risolvere la crisi, non solo quella economica ma anche quella spirituale. È una designer di borse, borse che nascono con il preciso intento di conservare e rendere contemporanea la tradizione artigianale italiana e con l’ambizione di trasmettere alle donne un’atmosfera poetica in cui la moda si fa veicolo comunicativo. Il suo lavoro parte da lontano rispetto al glamour metropolitano delle big four (Milano, Parigi, Londra e New York). Viene da Caprarola, un piccolo paese della Tuscia Viterbese che con il fashion system non ha nulla a che fare. Ha ripreso antiche tecniche di lavoro locali e chiama i suoi artigiani “artigianauti“, artigiani e naviganti dei sogni.
Parola d’ordine per tutti i nuovi imprenditori della moda: contaminazione a 360 gradi. Il duo di Marcobologna ad esempio è partito realizzando gioielli, poi ha trasferito l’idea nel settore abbigliamento: adesso crea abiti con stampe ispirate ai gioielli. “Il suo è un inno alla spensieratezza e al relax, tipico di chi si sa divertire con classe”, continua Magalini. Le sue collezioni arrivano sempre da suggestioni legate a un riferimento culturale preciso, alla ricerca costante del gusto cosmopolita che non scade mai nel folklore. Nell’ultima collezione “ci ha trasferiti in un coerentissimo pop caleidoscopico ispirato a Roy Lichtenstein e Yayoi Kusama dove la tecnica del collage è stata utilizzata per destrutturare i capi e remixarli mescolando diverse grandezze di pois e righe disegnati a mano. Le stampe sono proposte su abiti anatomici in crepe cady e su impalpabili mussole di seta per un effetto al limite dello psichedelico”.
Stella Jean invece è partita dal concetto di multi-cultura applicata alla moda. Lei, italo-haitiana, ha smesso da poco, dice, di “litigare con le mie due anime così profondamente diverse. La moda mi ha dato la completa libertà di movimento in un ambito delicato e fragile che è quello dell’appartenenza. Non esistono limiti o impossibili abbinamenti culturali o sociali, tutto sta nel conoscere questi importanti mezzi di comunicazione e calibrarli, anche con l’aiuto di una certa dose d’ironia”. E allora ecco i suoi meravigliosi abiti che abbinano coloratissime stampe haitiane alla raffinatezza dell’alta sartoria italiana. Mix perfetto per raccontare la nuova Italia al mondo.