“Come fare per aiutare la causa dei diritti civili in questo paese? Indignandosi!”, afferma con vigore Daniele Viotti, eurodeputato del Pd all’incontro di ieri organizzato dall’associazione Omphalos – Arcigay Arcilesbica Perugia dal titolo Discriminazione, pregiudizi e ruolo dei social media nell’era del matrimonio gay, nell’ambito dell’International Journalism Festival. Il panel, coordinato da Roberto Mauri, ha indagato i rapporti tra media e omofobia, approfondendo il caso della stampa italiana ed estera. E le sorprese non mancano.
Emerge, in primis, che non bisogna mai abbassare la guardia o dare alcunché per scontato. Questo ci suggeriscono altri partecipanti, come Mathieu Magnaudeix, uno dei fondatori dell’Association des journalistes Lgbt: “Cerchiamo di far capire ai giornalisti francesi che l’omosessualità non è una condizione dolorosa» così com’è rappresentata anche Oltralpe, nonostante l’approvazione della legge sul matrimonio egualitario. Helena Horton, del Daily Mirror, rivela: “L’omo-transfobia è presente anche nei media britannici” e denuncia l’invisibilità di categorie quali lesbiche e transgender nella stampa. E continua: “I giornali anglosassoni sono a favore dei diritti Lgbt, ma anche da noi ci sono problemi”.
La situazione, anche nei quadri internazionali più evoluti, non sempre è rosea dunque. Sicuramente, rispetto al panorama italiano, certe situazioni appaiono ottimali, ma proprio dall’estero ci arriva un campanello d’allarme sul fatto che i diritti civili, una volta conquistati, vanno anche tutelati. E proprio a cominciare dal modo in cui si narrano i soggetti destinatari degli stessi e la diversità di cui sono portatori. Su questo aspetto e sul caso italiano spiccano le voci di Vincenzo Branà, presidente del Cassero di Bologna e responsabile del settore comunicazione di Arcigay, e Caterina Coppola, direttrice di Gay.it.
Sulla qualità dei media di casa nostra sui temi Lgbt, Branà è molto critico con le nostre tv e i nostri giornali che non fanno una buona informazione. “Se io chiedessi alla gente cosa sa del ddl Cirinnà, probabilmente verrebbe fuori che non ci ha capito niente”. E mostra poi, tra i molti esempi, il caso eclatante di una prostituta transessuale, picchiata e derubata da un cliente: la stampa diede notizie in cui i titoli ribaltavano le cose realmente accadute. È anche questo, a ben vedere, il nostro sistema di informazione.
Si concentra sui protagonisti delle campagne antigay Caterina Coppola, la quale afferma: “La stampa conservatrice confessionale non è mai stata benevola con le persone Lgbt”. In una ricostruzione puntuale, che per questioni di tempistica non ha permesso un dibattito più approfondito, la giornalista dimostra come riviste specifiche e personaggi ad esse collegate siano nati esclusivamente per impedire il miglioramento delle condizioni di vita della gay community. Queste hanno come unico fine quello di diffondere disinformazione sui temi Lgbt, usando o inventando parole al fine confondere le acque e spaventare la gente, in realizzazioni quali “famigliofobia” o agitando il solito spettro del gender.
E ancora analogie profonde emergono dal confronto tra Italia ed Europa, laddove Viotti e Magnaudeix sostengono che la stampa, dando visibilità a movimenti quali Manif pour tous, ha contribuito a diffondere istanze omofobiche; senza dimenticare, come nel caso francese, le precise responsabilità della Chiesa cattolica che ha dato un impulso notevole ai movimenti contrari alla piena uguaglianza della comunità Lgbt. O come nelle parole, ancora, di Coppola e Horton quando ricordano che il discorso sulla discriminazione ha una matrice specifica e riconoscibile nel sessismo.
Un quadro, quello descritto, che ci fa comprendere che sia laddove i diritti sono stati conquistati, sia dove il percorso è ancora in fieri, la strada è lunga e laboriosa, ma non impossibile da realizzare. La recrudescenza delle istanze omofobe in Italia, attraverso i fenomeni che ben conosciamo, è segno della debolezza di queste forze del regresso: “Interpretiamola come una loro sindrome di accerchiamento”, afferma la responsabile di Gay.it.
Sta poi alle voci indipendenti – come i/le blogger, per esempio – e alla stampa di comprovata deontologia fare il resto: informare in modo onesto senza porgere il fianco a istanze discriminatorie. Non solo per vincere la battaglia dell’uguaglianza, ma per fare del nostro un paese migliore.