"L'eco di uno sparo" è il romanzo dell'ex musicista dei Cccp che racconta la storia di Ulisse, squadrista ucciso dai Gap nel 1944: "Nella mia famiglia è stata rimossa per decenni e tenuta sotto anonimato con grande imbarazzo"
C’è una pallottola che sembra compiere una traiettoria decennale, seminare morte tra fascisti e comunisti senza distinguere la storia con la s maiuscola. C’è una preparazione allo sparo lunga almeno due secoli. E un’eco, l’eco di quello sparo, che non sembra essersi mai quietata. La sorpresa editoriale che arriva a ridosso delle celebrazioni dei 70 anni della Liberazione in Italia, con quella memoria storica eternamente divisa a fare da sfondo, è stata scritta da Massimo Zamboni. Con il romanzo L’eco di uno sparo (Einaudi) l’ex componente delle band musicali dei Cccp e Csi porta alla luce l’omicidio di suo nonno Ulisse, squadrista fascista ucciso dai Gruppi di Azione Patriottica nel febbraio del 1944 e poi quello del gappista Rino Soragni (Muso) freddato nel marzo del 1961 dall’amico e compagno gappista Alfredo Casoli (Robinson): Robinson e Muso risultano essere i killer di Ulisse.
Un lavoro d’archivio durato quasi sette anni, per una prosa densa che si confronta con la retorica ideologica e la pragmaticità della vita: “Tra gli altri oltre a Pavese e Revelli ho letto e citato anche alcune frasi provenienti dai libri di Pansa e Pisanò sul triangolo della morte reggiano. Ho dovuto farlo perché raccolgono testimonianze che servivano. Ma non li apprezzo di certo, anzi li detesto. Il loro scrivere ha un’insania di fondo che mi offende. Ripeto, non lo dico per difendere i partiti di sinistra, ma certe persone non hanno mai ammesso colpe e continuano a giustificarsi dietro al fatto che erano giovani e pieni di ideali. Ideali sbagliati, aggiungo io”.
Perché secondo Zamboni, oramai da vent’anni ritiratosi con la sua famiglia a coltivare il proprio podere nei boschi reggiani (“tutto quello che possiamo produrre da soli ce lo produciamo, anche il sapone”), le divisioni tra gli uomini in fondo sono state “fomentate dalle ideologie”: “Guardate quel poliziotto che ha appena detto che ritornerebbe dentro alle Diaz a rifare quello che ha fatto. Ecco l’assunzione di dovere di persone che non contano niente non riesco proprio a capirla. Lui non è quel potere che difende a tutti i costi, lui né è schiavo, è una formica nelle mani di altri. La storia di mio nonno Ulisse è proprio questa. Se solo avesse letto le note del partito fascista che lo descrivevano come un povero mentecatto, lui che avrebbe dato la vita per il paese dove abitava, lui che ha nascosto disertori in fuga, si sarebbe salvato”.