Il titolo lo ha preso in prestito da Cesare Pavese, l’input gli è venuto mentre si trovava a girovagare nel profondo Messico, pensando per un attimo di essere nel cuore della sua Isola, il resto si è probabilmente modellato da solo, dopo aver sovrapposto la semplicità di un’infanzia trascorsa in un piccolo centro a tutto quello che ha visto dopo. Lo hanno definito un inno ai borghi d’Italia, ma il nuovo album di Antonio Di Martino è qualcosa di più complesso, una minuscola sfumatura di vita traslata su un pentagramma. S’intitola Un paese ci vuole, come le prime battute del capitolo numero uno de La Luna e i falò di Pavese, esce il prossimo 21 aprile, ed è il terzo lavoro del cantautore siciliano, oggi considerato uno dei principali interpreti della scena indie, insieme a Brunori Sas, le Luci della Centrale Elettrica e i conterranei Waines e Nicolò Carnesi.
L’ultimo tassello di un puzzle che arriva dopo “Cara maestra abbiamo perso” e “Sarebbe bello non lasciarsi mai, ma abbandonarsi ogni tanto è utile”, più l’Ep “Non torno più mamma”, tutti pubblicati dall’etichetta Picicca dischi. Due le collaborazioni che impreziosiscono il nuovo lavoro di Dimartino: le voci di Francesco Bianconi dei Baustelle e di Cristina Donà. È un album che prova a raccontare la vita trascorsa in una qualunque delle piccole città italiane, ma che non ha niente a che vedere con la provincia nostrana, con la vita in bianco e nero all’ombra delle metropoli, e che non a caso nasce agli antipodi di questo Paese.“Mi trovavo in autobus in Messico, c’erano villaggi raccolti sulle montagne e per un attimo mi sono sentito in Sicilia, dalle parti di Enna. Una sensazione strana, d’isolamento, di pace, ma anche di sicurezza perché mi sentivo straordinariamente a casa. A quel punto mi sono detto: voglio fare un album sul concetto di paese, ma non volevo raccontare l’hinterland cittadino, la vita provinciale. Ho scoperto che mi mancava il mio paese, inteso come isola, come concetto mentale più che geografico, un posto separato dal resto, rassicurante come tutte le origini”, dice Di Martino, cresciuto a Misilmeri, cittadina alle porte di Palermo, stesso paese natio del batterista Giusto Correnti.
Ha un’origine “paesana” anche il tastierista Angelo Trabace, originario di Irsina, cinquemila anime nel cuore dei boschi lucani, in provincia di Matera, dove le ferrovie dello Stato non arrivano e per avere un trasporto su binario si sono dovuti inventare le Ferrovie Appulo Lucane. “Nei paesi è tutto molto diverso dal caotico ritmo cittadino – continua Di Martino – a Misilmeri mi accorgo subito se è nato un bambino , dai fiocchi sulle porte, e vedo subito se un bar ha chiuso e al suo posto è nata una sala scommesse”. Più che un inno ai borghi d’Italia, il nuovo album di Dimartino prova a raccontare come si vive nei centri più piccoli, nonostante l’epoca della globalizzazione e del mondo intero racchiuso in uno smartphone. “Nonostante ci sia nato in un paesino, per capirlo mi sono dovuto allontanare: le cose riesci a vederle sempre meglio da lontano” continua il cantautore. Che nei dodici brani di “Un paese ci vuole” canta la prospettiva del piccolo centro, la vita che scorre inevitabilmente più lenta, scandita da rapporti umani definiti “stati di niente”, più l’immancabile fase della partenza e del ritorno: è la condizione del pendolare, sempre in bilico tra una vita complessa di città e un rientro costante al rassicurante borgo natio, dove tutto ha un aspetto più facile.
Originale e inedito è il metodo di lancio: dopo aver promosso un foto contest sulla sua pagina facebook, invitando i fan a postare foto del loro paese d’origine, dal 3 aprile è possibile ascoltare l’anteprima del disco in streaming. Piccolo particolare: è possibile ascoltarlo soltanto da uno dei trecento borghi italiani selezionati dal cantautore, grazie ad un’ app che sfrutta la geolocalizzazione dell’utente. “Mi piaceva l’idea che per ascoltare questo disco le persone dovessero spostarsi, concentrarsi in modo di ascoltarlo senza contaminazioni. Nell’epoca di Spotify e Youtube passiamo da un artista simile all’altro, senza possibilità di tornare indietro: capita spesso anche a me. All’inizio avevo chiesto alla casa discografica una caccia al tesoro: vari dischi nascosti in determinati punti di alcune cittadine. Ma non è stato possibile: ho ripiegato sullo streaming localizzato, sperando che se per sentirlo si esce di casa, allora si ascolterà con attenzione. Alla fine se non piace, l’ascoltatore avrà comunque visto un paese nuovo” spiega Di Martino. In attesa dell’uscita, quindi, è possibile ascoltare l’ultimo lavoro del cantautore siciliano, da Castelbuono (Palermo) a Lana (Bolzano), passando dall’isola di Ventotene fino a Riva del Garda: l’importante è non trovarsi in una città. “Quando si torna a stare in un piccolo centro, dopo la grande città, ci si convince che lì sarà tutto più facile e gestibile, quasi come se la gente si fosse radunata e avesse deciso di giocare alla vita di paese. Si arriva a credere che in un posto così non possa morire nessuno” scriveva il premio Nobel Alice Munro. Quasi una fonte d’ispirazione involontaria per Un paese ci vuole. Un disco generato in Messico e partorito in Sicilia, dove un pilone malfermo di autostrada ha di recente spaccato in due la Regione più a sud d’Europa: un’Isola densa di borghi oggi capace perfino d’isolarsi da sola.