Tutti ad applaudire oggi la scelta di Enrico Letta di abbandonare la politica per dedicarsi all’insegnamento in Francia e così guadagnare, dice lui, il pane con il suo lavoro. Per carità, sempre con la porta aperta, se abbiamo capito bene. Perché per il domani non si esclude niente in casa dell’ex premier, neanche il grande ritorno, magari, vista la povertà della nostra classe politica, ancora e sempre in stile francese. Come capitò al generale Charles De Gaulle richiamato a furor di popolo a Parigi dopo il suo sdegnato ritiro a Colombey-les-Deux-Eglises.
Personalmente non condivido tutto questo applaudire. Nell’annuncio di Letta, nel suo ritiro, ci vedo una discreta dose di egoismo personale e anche di opportunismo. Ci abbandona perché deluso dall’andazzo, dalla politica italiana ormai dominata dal suo grande nemico Matteo Renzi. Preferendo per questo la cura degli affari propri.
Niente di grave per carità in un paese in cui la politica è ormai considerata una sorta di treno sul quale salire e scendere solo per cogliere opportunità. Di potere e di guadagno, innanzitutto. Solo che la politica dovrebbe essere altro: battaglia di idee e di programmi, sopra ad ogni cosa, tenendo sempre bene a mente l’obiettivo: il bene pubblico e la sua cura.
Sconfitto da Renzi, invece, Letta diserta il campo. Evidentemente non aveva poi forse così in gran cuore gli interessi collettivi, quelli della tanta gente che pure lo ha votato nell’arco di un ventennio. Diversamente non avrebbe abbandonato in questo modo la scena. Soprattutto se, come pare, vuole fare anche intendere che gli “usurpatori” insediati nella stanza dei bottoni possono fare altri danni al Paese.
Ma così stanno le cose. Per cui, diciamolo senza rancore: quando c’è passione per le proprie idee e per il bene dei cittadini un leader vero non si dimette. Almeno se ne ha la stoffa. Non si dimette mai dai propri doveri di dirigente politico. Evidentemente Enrico Letta questa stoffa non ce l’ha.
Per cui, stia bene Presidente, arrivederci e grazie. E senza rimpianti.