La mia vita è finita con la morte di mia figlia e dei miei due nipoti”. Solo Giuseppina Redaelli è presente all’udienza preliminare contro il genero Carlo Lissi, l’informatico di 31 anni che la notte tra sabato 14 e domenica 15 giugno 2014 massacrò a coltellate la propria famiglia nella villetta di Motta Visconti, ricco comune al confine tra Milano e Pavia. Ha promesso che non perderà nemmeno un’udienza: vuole vedere Carlo pagare per quello che fece quella notte, quando per liberarsi del matrimonio e vivere un amore non corrisposto con una collega uccise la moglie Maria Cristina Omes, 38 anni. Poi i figli. Prima Giulia, 5 anni. Infine Gabriele, 20 mesi.

Lissi invece non si è presentato davanti al giudice del tribunale di Pavia, Luisella Perulli, che ha accolto la richiesta della difesa di far svolgere il processo per triplice omicidio con rito abbreviato – si va dunque lo sconto di un terzo della pena – e ha disposto la perizia psichiatrica. Nel fascicolo è stata inserita anche la consulenza tecnica della difesa dalla quale emergerebbe una seminfermità mentale di Lissi. “E’ una parziale capacità di intendere e volere, che era già pregressa e si è manifestata nel fatto accaduto nella villa di famiglia”, spiega a fine udienza Corrado Limentani, uno dei legali dell’informatico. Ma Lissi non sarà neppure alla prossima udienza fissata per il 14 maggio, quando il giudice assegnerà l’incarico agli esperti incaricati di svolgere la perizia. “Il signor Lissi sarà comunque presente in una delle prossime udienze, per raccontare quanto è successo. E’ molto afflitto per quanto è successo e disposto a espiare la giusta pena per le sue responsabilità”, garantiscono i suoi avvocati.

Non potrò mai perdonare Carlo Lissi per quanto ha fatto. Il suo avvocato dice che è afflitto? Doveva pensarci prima – si sfoga Giuseppina Redaelli che come altri familiari e un’associazione si è costituita parte civile al processo – Mi auguro solo che sia fatta giustizia e che quest’uomo stia in carcere e provi le stesse sofferenze che sta facendo vivere a tutti noi. Mi do la colpa di non aver capito in tempo cosa stava succedendo nella famiglia di mia figlia. Maria Cristina non mi aveva parlato di problemi con suo marito: quando lei era impegnata per il lavoro, era lui a curare i figli”.

Un buon padre di famiglia. Una normalità fragile quella vissuta da Carlo e Maria Cristina. Nascosta dietro le mura della bella villetta su due piani con l’intonaco rosa e il giardinetto curato di via Ungaretti 20. Sei anni di matrimonio. Due figli. Due buoni impieghi. Lei, in un’agenzia di assicurazioni. Lui, in una società di software: la Wolters Kluver di Assago. Tifoso della Juventus. Appassionato di moto, basket e palestra. Un bel ritratto di famiglia che pian piano scoloriva. Sì, perché Carlo da un po’ di tempo si è innamorato di una collega di lavoro. Si fa avanti. Lei rifiuta. Il desiderio si trasforma in ossessione. Poi in paranoia: “Avevo tanti pensieri, ma il mio fine era lei, avrei sopportato di stare da solo per qualche tempo con la prospettiva di attenderla. Pensavo a lei ogni momento libero. Non so se voi vi siate mai innamorati alla follia?“, chiede ai magistrati che lo hanno interrogato lo scorso 28 febbraio, come riporta il Corriere della Sera.

Il matrimonio diventa una prigione. I figli un ostacolo. Il cortocircuito nella sua mente scatta la sera del 14 giugno, mentre l’Italia attende l’esordio degli Azzurri al mondiale brasiliano contro l’Inghilterra. Carlo e Maria Cristina fanno l’amore. Poi lui si alza. Va in cucina. Prende un coltello. La colpisce alle spalle, mentre lei è seduta sul divano. Sette colpi. Maria Cristina grida “no, perché“. Lui continua. Ma non ha ancora finito. Sale al secondo piano. I bimbi dormono. Giulia nella sua cameretta. Muore per prima. Una coltellata alla testa. Gabriele è nel lettone matrimoniale. Un colpo alla gola. Nessuno dei due si sveglia. Carlo si fa una doccia. Si veste. Prende la macchina e va a casa di un amico per vedere la partita. Sembra tranquillo, come sempre. Rientra verso le 2. Inizia la messa in scena. Simula una rapina. Mette la casa sottosopra. I carabinieri del nucleo investigativo di Milano del tenente colonnello Alessio Carparelli lo interrogano. Niente del racconto di Carlo li convince. La confessione piena arriva a mezzanotte di domenica. Carlo racconta dell’amore fantasticato con la collega. Di Maria Cristina. Di Gabriele e Giulia. Del divorzio che “non avrebbe risolto, perché i figli sarebbero rimasti”. Della normalità tra le mura della villetta di Motta Visconti andata in frantumi.

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