“La nostra politica, l’Europa e lo stesso linguaggio non hanno saputo cambiare con il mutare degli avvenimenti. La nostra testa ragiona ancora con approccio giuslavorista mentre questa gente oggi ha bisogno di salvare la propria pelle”. A parlare, commentando il naufragio del barcone di migranti che ha provocato circa 800 morti, è il sociologo ed editorialista del Sole 24 ore Aldo Bonomi.

Professor Bonomi come sono cambiate le nostre reazioni rispetto ai morti dei naufragi?
Il paradosso è che non siamo stati capaci di cambiare rispetto alle vecchie ideologie economiche che inizialmente ci hanno introdotti ad affrontare i temi migratori solo sul fronte del lavoro, dei flussi per lavoro.

Cosa intende?
Negli anni Novanta ci siamo posti il problema di fare leggi che affermassero alcuni diritti elementari rispetto ad una forza lavoro attiva che stava arrivando nel nostro Paese. Ma oggi siamo protagonisti di un esodo epocale paragonabile solo alle grandi tragedie del Novecento. Tuttavia la nostra politica, l’Europa e lo stesso linguaggio non hanno saputo cambiare con il mutare degli avvenimenti. La nostra testa ragiona ancora con approccio giuslavorista mentre questa gente oggi ha bisogno di salvare la propria pelle.

Politica, informazione ed Europa. Suddividiamo le responsabilità?
Nell’ambito nazionale è rimasto il fronte degli imprenditori della politica della paura, che vanno avanti per la loro strada e una sinistra dei presunti diritti che non è stata in grado di aggiornarsi all’interno questa globalizzazione delle tragedie.

Informazione?
E’ sempre più facilmente solleticata da quella cloaca di insulti rappresentata dalla Rete dove il livore che esprime è di fatto la corda con cui perimetra il suo recinto individuale. Ogni blocco mentale è la forma personale di blocco navale. Il vero problema della comunicazione è che ha perso la dimensione della prossimità perché si pensa che la tecnologia che racconta attraverso i social sia la realtà. I luoghi sono la prossimità da raccontare, non i talk show oppure le chat.

Mentre l’Europa…
È stata incapace di accompagnare i cambiamenti della modernità. L’Europa ha tante parole per definire la finanza e il debito pubblico, ma poche per definire questa catastrofe umanitaria umanitaria peraltro facilmente prevedibile perché frutto dei mutamenti geopolitici. Eppure solo il Papa ha avuto il coraggio di parlare di terza guerra mondiale frammentata. Se vuole salvarsi l’Europa deve ritornare alla sua stessa ragione fondante che non era quella dello spread ma dei popoli, delle genti. Nel corso degli anni abbiamo vissuto il dramma della guerra dell’ex Jugoslavia, noi italiani dovemmo confrontarci con il campo da calcio di Bari invaso dal primo sbarco dall’Albania. Quelle potevano essere prove generali di una politica capace di comprendere i propri limiti e interessata a crescere rispetto alle esigenze.

Invece…
Invece restano sempre più attuali le parole di un vero, autorevole e capace commissario europeo, come il francese Jacques Delors che nei primi anni Novanta ebbe a dire: “L’Europa ha perso il senso del tragico”.

Parole a parte professore ma lei quale soluzione intravede?
Oggi non abbiamo scelta anche se mi pare che il dibattito verta sul duplice fronte di chi vuole il blocco navale e chi crede in un corridoio umanitario. Una soluzione, questa, che va affrontata all’inverso.

Ovvero?
Dai campi profughi ai luoghi di sbarco, non il contrario. Bisogna agire oggi come nel Novecento, il secolo dei grandi conflitti, durante il quale venne coniato il termine apolide. Ecco oggi l’emergenza sono gli apolidi. L’Europa era nata anche per loro e deve ritornare ad occuparsene.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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