Otto registi hanno girato sette episodi sulla battaglia quotidiana di giovani (e non) che vivono senza la certezza di un posto fisso. E si ingegnano per tirare avanti, tra momenti di scoraggiamento e necessario ottimismo. Il titolo nasce dalla risposta di un ciclista arrivato secondo alle Olimpiadi pedalando su una bici senza sella: "Come è stato? Un po' come vivere in Italia"
“Essere precari in Italia oggi è un po’ come andare in bici senza sella, magari in salita”. L’immagine scelta da Alessandro Giuggioli, 33 anni, è abbastanza efficace: come rendere meglio, infatti, la fatica e le difficoltà affrontate quotidianamente da migliaia di giovani? Un percorso ad ostacoli, come quello intrapreso per realizzare il progetto cinematografico a cui l’autore sta lavorando con 8 registi e 14 autori, tutti “fieramente precari”, e che dalla scena evocata trae proprio il titolo: ‘In bici senza sella‘. Un film che racconta, in sette episodi, la battaglia quotidiana di chi si ritrova a vivere senza la certezza di un posto fisso. Il tutto però senza piangersi addosso, anzi. “Ci prendiamo la licenza di poter scherzare sopra questa condizione, proprio perché la viviamo tutti i giorni e sappiamo cosa significhi – spiega Giuggioli – ed è un punto che teniamo a precisare: di solito la narrazione di questo mondo viene fatta da chi precario non è, e non ha la minima idea di cosa voglia dire. Per questo poi, quelli che vengono prodotti sono tutti film tristi. Il nostro messaggio, invece, è positivo: tutti i nostri personaggi all’inizio hanno un problema, ma alla fine una soluzione, per assurda che sia, la trovano sempre”. Insomma, un eterno gioco di equilibri tra ingegno, scoraggiamento e necessario ottimismo che caratterizza l’esistenza dei molti precari di oggi, la cui capacità (oltre la necessità) di ‘cavarsela’, in genere prevale sulla rassegnazione.
“Un film che è quasi un manifesto – continua Giuggioli, ideatore del progetto – e il senso è quello: noi giovani italiani la bici ce l’avremmo pure, nel senso che abbiamo tutte le carte per avere successo, peccato che ci abbiano levato il sellino. Quella che descriviamo, infatti, è la situazione della generazione degli anni ’80-’90, quella cresciuta pensando che se avesse seguito il ‘percorso giusto’ alla fine sarebbe arrivata. Invece qualcosa è andato storto”. E il percorso, con la crisi economica, è diventato prima pieno di curve pericolose, per poi trasformarsi in una salita sempre più ripida. E se, metaforicamente, la storia d’Italia ha visto i suoi giovani, in periodi diversi, in sella a scanzonate Vespe, Lambrette e scooter sempre più ruggenti, questa è appunto la generazione del ritorno alla fatica della bici.
“Il titolo poi – specifica l’autore – è anche frutto del caso. Mentre ragionavamo sul progetto, decisi a portarlo a termine dopo che avevamo ricevuto tutti riscontri freddi alla nostra proposta, ho visto in tv un’intervista a un ciclista che era arrivato secondo alle Olimpiadi pedalando su una bici senza sella. Alla domanda della giornalista su come fosse stato, l’atleta ha risposto: ‘Un po’ come vivere in Italia‘. L’ho preso come un segno del destino”.
Insomma, l’ironia spesso si mescola con il dramma, il politicamente scorretto e il paradossale, a comporre il mosaico complesso che è la vita quotidiana: “Nel mio episodio per esempio”, racconta Giovanni Battista Origo, 26 anni, uno degli otto registi del progetto (insieme a Francesco Dafano, Sole Tonnini, Gianluca Mangiasciutti, Cristian Iezzi, Chiara De Marchis, Edoardo Tranchese, Riccardo Vincentini), “due trentenni della periferia romana che svuotano cantine trovano il Santo Graal. Di fronte alla possibilità di diventare immortali si pongono però un quesito fondamentale: ‘Come arrivare alla fine dell’eternità, quando è già difficile arrivare alla fine del mese?’. Da qui partono poi una serie di riflessioni e di situazioni che si ispirano alla vecchia commedia all’italiana”.
Per il momento, dei sette episodi previsti, solo tre hanno visto la luce. Per prendere vita il progetto, prodotto da due case indipendenti, la Tandem Film e l’Amaro, ha bisogno di finanziamenti. Per questo è stata data il via a una campagna di crowdfunding sul sito Indiegogo. “Per il momento abbiamo raccolto 7mila euro, ce ne servono 90mila. Il nostro sogno, però – specifica Giuggioli – è quello di ricevere 45mila aiuti da 2 euro”. Accanto alla raccolta fondi il team affianca anche diverse campagne social che vanno da ‘Adotta un precario‘, un progetto grafico dove, in maniera ironica, vengono mostrati giovani che si adattano a fare lavori assurdi (ecco quindi il precario ‘fermaporta‘, quello ‘antenna della televisione‘, quello ‘da guardia‘…) a una attraverso la quale i precari sono invitati a inviare le proprie foto, ammettendo di vivere anche loro ‘in bici senza sella’.