Il 7 settembre 2014, tre anziane missionarie saveriane vengono uccise a Bujumbura, in Burundi, nel quartiere nord di Kamenge, dove si trova la parrocchia in cui operano. Viene subito arrestato Christian Butoyi, malato psichico. Lo scorso gennaio, l’emittente radiofonica RPA manda in onda la testimonianza anonima di un sedicente membro del commando che uccise le suore, che fa i nomi dei presunti mandanti (tra cui l’allora capo dei servizi segreti) e parla di milizie giovanili e di traffici di medicinali e minerali (che le suore sarebbero state pronte a denunciare) come movente. A fine marzo, un secondo testimone-reo confesso viene scovato e ascoltato da RPA, stavolta con nome e cognome: nel suo racconto, conferma la versione del primo teste (come movente cita solo le milizie imbonerakure e non i traffici) e fa il nome anche di padre Claudio Marano, responsabile del Centro Kamenge. Che oggi si difende.
Padre Claudio, partiamo dal racconto di Juvent Nduwimana, l’agente segreto che ha fatto il suo nome: parla di una riunione in cui lei si sarebbe presentato e avrebbe parlato brevemente in disparte con i “capi”, qualificati come mandanti del triplice omicidio, e poi sarebbe andato via, prima che all’agente e agli altri venisse impartito l’ordine di uccidere le suore.
“Io avrei parlato in disparte? Ho parlato davanti a tutti con l’operaio che dovevo raggiungere. Sono andato in quel ristorante (di proprietà di Adolphe Nshimirimana, allora capo dei servizi e indicato dai due testimoni rei confessi come mandante del triplice omicidio, ndr), ho parlato col mio operaio per cinque minuti e poi sono uscito: si tratta di Guillaume, anche lui tirato in ballo da questo tale”.
Secondo lei, il motivo per cui Nduwimana fa il suo nome quale può essere?
“Forse l’hanno pagato. Oppure, come nella primissima confessione si trattava di un matto, può darsi che anche questo abbia dei problemi”.
In che rapporti siete col partito al potere e con l’opposizione?
“Non abbiamo e non abbiamo mai avuto alcun rapporto, siamo completamente autonomi, altrimenti non potremmo dire di lavorare per la pace. Noi lavoriamo col governo quando ci sono delle attività per la pace. E con l’opposizione non abbiamo nessun contatto. Noi proponiamo ai ragazzi di ascoltare tutti e di decidere con la loro testa”.
Le attività sue personali e del Centro possono dare fastidio a qualcuno?
“Sì, perché abbiamo 44.450 giovani, a cui abbiamo insegnato a vivere in pace. Questo dà fastidio”.
Ci risulta che lei sia stato ascoltato dal procuratore, lo conferma?
“Sono stato convocato una volta dal procuratore e poi, un’ora prima dell’appuntamento, mi ha detto che non aveva tempo. Sono stato convocato una seconda volta, il procuratore mi ha messo nelle mani di un magistrato che mi ha fatto qualche domanda, una pagina e mezza scritta a amano. Mi ha chiesto cosa facevo nel giorno in cui sono state uccise le suore, perché sono andato in quel ristorante…”.
Sa se ci sarà un seguito?
“Non ne ho la minima idea, perché purtroppo la radio che continua a cavalcare questa notizia un giorno è contro la polizia segreta, un giorno è contro la chiesa, un giorno è contro il presidente e bisogna vedere quando noi del Centro torneremo ad esser tirati in ballo. Quello che ci ha o che mi ha accusato è in prigione, cinque giornalisti della radio si sono dimessi, perché non più d’accordo con il loro direttore”.
Su questo esiste anche un’altra versione dei fatti, secondo cui questi cinque giornalisti sarebbero invece stati a libro paga dei servizi, con l’incarico di riferire quello che fa la radio.
“Ah, qui in Burundi ognuno dice e fa quello che vuole e dà la sua informazione come verità. È molto difficile. Loro sono apparsi alla televisione del Burundi, la televisione nazionale, e hanno detto che non erano più d’accordo”.
Ma una radio come RPA, che sta svolgendo un lavoro di critica al potere e che, come dice qualcuno, sarebbe in mano all’opposizione, che interesse avrebbe a “colpire” la Chiesa, nel momento in cui la Chiesa ha preso posizione contro il terzo mandato presidenziale?
“Più confusione c’è e meno si riesce a identificare i soggetti. Questa è una radio che ha portato alla luce tutti gli scandali del paese, possiamo chiamarla radio trottoir (voci non verificate, ndr), nel senso che dà notizie per farsi bello e poi magari non le smentisce neanche. La radio è stata fondata da Sinduhije, che è il capo di un partito dell’opposizione”. (Alexis Sinduhije ha fondato RPA nel 2001 e l’ha diretta fino al 2007, quando ha lasciato la professione, annunciando la sua candidatura per le presidenziali del 2010; nel 2008 fu arrestato e Amnesty International lo definì “prigioniero di coscienza”, ndr)
Anche l’attuale direttore, Bob Rugurika, si è fatto un mese di carcere in seguito a questa inchiesta e sulla vicenda c’è anche una risoluzione dell’Unione Europea.
“Ma è perché bisogna sempre difendere i giornalisti! I giornalisti purtroppo in Burundi non sono come in Italia. Un conto è essere giornalista in una zona di guerra e lavorare per la pace, un conto è creare confusione ancora di più perché la guerra scoppi. Secondo me molti giornalisti sono a questo livello, perché arrivano da 50 anni di violenza e quindi hanno la violenza nel sangue, è per questo che bisogna difendere il Centro, perché noi cerchiamo di far vedere a questi giovani che vivere insieme, nonostante tutte le differenze, è una cosa che migliora tutti, che conviene a tutti”.
Al di là del fatto che sia stato fatto il suo nome, qual è la sua valutazione sulle due testimonianze? C’è qualcosa di vero su moventi e mandanti?
“Sia a livello di popolazione che a livello di qualche capo, si sente dire che il testimone è stato pagato. Non lo so… ci sono tanti personaggi in Burundi (come in Italia), che si vendono per poco”.
Lei quindi ritiene non attendibili le due testimonianze?
“Non sono andato a vedere il carnet psicologico dei due, io non li conosco, io non so chi siano. Traffici e milizie? Sono tutte balle, nel senso che la parrocchia non è mai andata in Congo con una macchina per portare di qua o di là delle cose. Le suore sono morte, e quindi non possiamo avere una loro reazione. È stato deciso da qualcuno che bisogna farle fuori perché sanno troppe cose”.
Lei ha idea di quali siano queste cose?
“No, ma non so neanche se questo è vero o se è una scusa”.
Visto che il centro è così grande, che ci sono tantissime persone che lo frequentano, che ci sono anche tanti fondi, lei può escludere che magari alle sue spalle ci possa essere qualcosa di poco chiaro?
“Per il Centro sono sicurissimo, anche perché non abbiamo grossi fondi. Siamo completamente senza soldi, completamente abbandonati, anche se uno dal di fuori può pensare tutt’altro. E poi qui le cose si fanno pubblicamente: se il centro riceve degli aiuti, affiggiamo dei manifesti che dicono che il centro riceve aiuti da x, y e z”.
Già il primo testimone faceva il nome del suo collaboratore Guillaume. Di questo cosa dice?
“Guillaume è uno stipendiato del centro. Conosce molti della polizia segreta, come li conosciamo noi, poiché erano giovani del Centro entrati nella polizia segreta perché non trovavano lavoro. Non so quali siano i suoi legami con l’uno o l’altro. Io credo, come dice, che non abbia niente a che fare e che sia stato messo dentro per creare disordini: questo tale ha accusato la polizia segreta, lo stato, la società civile, la gente normale, per riuscire a fare ancora più confusione. Guillaume l’ho visto anche stamattina. È molto arrabbiato di tutto ciò che si dice sul suo conto. Se avesse avuto dei problemi, sarebbe in prigione come gli altri. Invece viaggia, viene a lavorare, vive tranquillo nel quartiere. Veramente, chiedo un po’ di comprensione per noi che siamo in una situazione di guerra psicologica che può scivolare in una guerra di violenza reale. Se qualcuno può, ci dia una mano”.