Per la prima volta uno studio ha identificato e classificato i 500 “attori globali” che insieme potrebbero virtualmente eliminare la deforestazione perché al centro del commercio dei prodotti responsabili di questo fenomeno (olio di palma, soia, carne e pelle, legname, cellulosa e carta). A stilare la “classifica”, che include 250 aziende, 50 governi e 150 istituzioni finanziarie, è Forest 500, un rapporto del Global Canopy Programme – gruppo di 37 istituzioni scientifiche provenienti da tutto mondo – secondo cui “la maggior parte della deforestazione è collegata alla produzione di una manciata di prodotti del valore commerciale di 150 miliardi di dollari l’anno. Beni che si potrebbero realizzare in modo sostenibile”.

Il think tank inglese ha scelto quindi Stati e imprese che hanno il maggiore impatto su questo fenomeno sottolineando i pochi passi in avanti che sono stati fatti per garantire una produzione responsabile.

Delle aziende analizzate, solo sei hanno ottenuto il punteggio massimo (ovvero stanno mettendo in atto strategie che limitano la deforestazione): Danone (Francia), Kao Corporation (Giappone), Nestlé (Svizzera), Procter & Gamble (Stati Uniti), Reckitt Benckiser Group (Gran Bretagna) e Unilever (Gran Bretagna). I piazzamenti peggiori si trovano invece in Asia e Medio Oriente, dove molte imprese e investitori hanno ottenuto zero punti. Ben al di sotto della media le valutazioni in Cina e India, ma sono anche le imprese russe ad essere relegate in fondo alla tabella.

Male per l’Italia, che ottiene un punteggio complessivo di tre (su una scala da zero a cinque), ma si ferma a due per quanto riguarda la strategia generale utilizzata. “L’Italia è uno dei principali attori europei rispetto all’importazione di merci a rischio per le foreste”, si legge sulla parte dello studio dedicata al nostro Paese. Settore più importante, quello delle importazioni di cuoio proveniente da Brasile e Argentina: quelle italiane sono “il 20% delle importazioni di pelle a livello mondiale e il 69% di quelle europee”. Cuoio che, arrivato in Italia ancora grezzo, “assume la forma di prodotti di alta qualità – continua Forest 500 – soprattutto di marchi di stilisti”. Non stupisce, quindi, come delle tre aziende italiane citate nel report, le due che ottengono i risultati peggiori si dedichino alla lavorazione della pelle: si tratta di Prada spa (per la fabbricazione di borse e scarpe) e Natuzzi (azienda leader dei divani). Entrambi i marchi sono stimati due punti su cinque, ma la loro valutazione arriva a zero se si restringe il focus dei parametri alla lotta alla deforestazione.

Spostando l’attenzione sui prodotti alimentari, “l’Italia è anche il terzo importatore europeo di prodotti di carne dai paesi tropicali – continua lo studio – mentre dal 2006 e il 2012 il consumo di olio di palma degli italiani e più che raddoppiato, arrivando a circa un milione di tonnellate nel 2012”. Un prodotto che, pur essendo utilizzato dal 95% delle aziende italiane nel settore agroalimentare, è oggetto di diverse petizioni di quanti lo considerano dannoso per la salute. L’azienda Ferrero ne utilizza 150mila tonnellate l’anno facendolo arrivare direttamente da Papua Nuova Guinea, penisola malese e Brasile: è lei la terza azienda italiana che secondo il report potrebbe agire contro la deforestazione. Il punteggio della casa dolciaria si ferma a due punti rispetto alle politiche adottate per una produzione sostenibile, ma raddoppia la valutazione (4 punti su 5) in ambito complessivo.

Forest 500 è uno studio che sarà ripetuto ogni anno fino al 2020. “A settembre 2014 governi, multinazionali, comunità indigene e la società civile hanno firmato la Dichiarazione di New York sulle foreste – ha ricordato il think tank – impegnandosi a porre fine alla deforestazione entro il 2020”. Forest 500, quindi, vuole segnalare i progressi fatti in questa direzione, e non lasciare che gli impegni di New York restino vuote promesse. “Dobbiamo renderci conto che noi tutti contribuiamo alla deforestazione – ha detto Mario Rautner, responsabile del Programma deforestazione del Global Canopy Programme – E’ nel nostro cioccolato e nel nostro dentifricio, nella nostra alimentazione e nei nostri libri, nei nostri edifici e nei nostri mobili, nei nostri investimenti e nelle nostre pensioni”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Ilva chiede al ministero di patteggiare nel processo per disastro ambientale

next
Articolo Successivo

Raccolta differenziata: il bel tempo andato

next