Ma come è possibile che le cosiddette “pari opportunità” in Italia non si rispettino nemmeno nelle previsioni, quando si fanno valutazioni su candidature possibili e future, o quando si snocciolano nomi, credibili più o meno, nel pensare a quell’una o a quell’altra poltrona lasciata vacante e che presto dovrà essere ri-occupata?
Nel nostro paese l’equilibrio tra i sessi è una pura chimera e nemmeno nella progredita Milano, la città dei diritti, giornalisti, opinionisti o politici che vogliono lanciarsi in proiezioni sul dopo Pisapia, evitano di prodigarsi nella ridda di nomi in cui il maschile esercita un ruolo dominante. Delle donne – mi domando – perché ci si dimentica sempre?
Restando quindi nel capoluogo lombardo, che delusione sentire o leggere sulla stampa, quando si parla di chi nel 2016 potrebbe correre nel centrosinistra per il posto che ora è di Giuliano Pisapia, gruppi di nomi dove non è affatto contemplata la parità dei sessi; e che tristezza vedersi propinare elenchi dove il femminile sembra essere più che altro una prospettiva azzardata, oppure improbabile o addirittura da “ultima spiaggia”.
E tutto questo a partire dai possibili “candidati” generati tra le fila del Partito democratico, che risulta essere quello più generoso in quanto a “papabili”, gente che “ci prova” o che è intenzionata a farlo. Tutte persone che prima di tutto dovranno allinearsi ai nastri di partenza delle primarie ma ahimè nomi, principalmente, di uomini. Gli ultimi e più attendibili, sono infatti i parlamentari Emanuele Fiano e Ivan Scalfarotto; il consigliere regionale Umberto Ambrosoli; l’assessore comunale Pierfrancesco Majorino; l’ex ad di Luxottica ed attualmente tra gli spin-doctor di Renzi Andrea Guerra e Giuseppe Sala, l’attuale amministratore delegato di Expo Spa.
E le donne? Le donne paiono raccogliere il minimo sindacale in questa sorta di toto-nomine, o meglio toto-primarie del dopo Pisapia. Qualcuno in origine aveva accennato alla ministra Maria Elena Boschi, subito decaduta, per dare maggior credibilità al nome della parlamentare Lia Quartapelle e recuperare in extremis una come Cristina Tajani (assessore a Palazzo Marino), ma senza in verità contarci molto. Insomma, candidature fatte non si sa quanto credendoci e purtroppo offuscare dai loro omologhi al maschile.
Insomma, il grosso della scena continua ad essere monopolizzato da un pugno di uomini, sulla validità dei quali non discuto affatto, ma che a loro volta dimostrerebbero più sportività e senso dei diritti se domandassero maggior speculazione sul tema in chiave femminile.
Invece ritroviamo lo stesso desolante panorama che riscontriamo sui numeri del rapporto tra politica e donne e sulla sperequazione tra le stesse e i loro colleghi maschi. Secondo un recente sondaggio realizzato da Openpolis per Repubblica.it, dal “Quirinale alle Province, passando per ministeri, parlamento, Regioni, giunte e consigli comunali, il 79,27% degli incarichi istituzionali in Italia oggi è ancora in mano agli uomini”.
Un’analisi sconfortante che la dice lunga sull’arretratezza delle pari opportunità in politica. Sempre secondo Openpolis: “Le donne costituiscono il 19,73% sul totale dei ruoli politici elettivi o di nomina. L’incidenza percentuale minore in assoluto è riscontrabile nei consigli regionali, dove è ‘rosa’ solo il 13,71% delle seggiole”.
Negli Stati Uniti Chelsea Clinton, la figlia di Hillary , colei che sta dando una grande mano alla mamma impegnata nella corsa alla Casa Bianca, in un’intervista ha chiesto per gli Usa un presidente donna, senza pretendere che fosse per forza la sua illustre madre, visto che preferirebbe una “presidente donna e afroamericana”. “Sarebbe un simbolo importante” ha aggiunto. Qui in Italia sarei tentata a mia volta di essere altrettanto pretenziosa; ma ora mi accontenterei non tanto di un Presidente della repubblica donna ma del simbolo di una buona candidatura al femminile per il dopo Pisapia a Milano.