Martedì scorso, 21 aprile, Gianni Morandi pubblica sulla sua pagina Facebook due foto a confronto, una in bianco e nero di un traghetto carico di emigranti italiani del secolo scorso e l’altra a colori di un barcone di immigranti come quelli che hanno perso la vita domenica scorsa nella tragedia del canale di Sicilia.

post fbSotto alle due foto, un post, di una manciata di caratteri – poco più di 450 spazi inclusi – che si fa prima a copiare ed incollare che a riassumere e che, d’altra parte, merita di essere letto e riletto per sintesi, efficacia e sentimento: “A proposito di migranti ed emigranti, non dobbiamo mai dimenticare che migliaia e migliaia di italiani, nel secolo scorso, sono partiti dalla loro Patria verso l’America, la Germania, l’Australia, il Canada… con la speranza di trovare lavoro, un futuro migliore per i propri figli, visto che nel loro Paese non riuscivano ad ottenerlo, con le umiliazioni, le angherie, i soprusi e le violenze, che hanno dovuto sopportare! Non è passato poi così tanto tempo…”.

Il messaggio è straordinariamente chiaro ed è rivolto al nostro Paese e, forse, all’intera comunità internazionale, divisa e spaccata, nelle opinioni, nelle posizioni politiche, culturali ed ideologiche e soprattutto nelle ricette, all’indomani della tragedia del canale di Sicilia. E la risposta del Paese, al post di Morandi, non si fa attendere. Bastano poche ore ed il post del cantautore raccoglie migliaia di commenti [ndr oltre 16 mila ieri sera], decine di migliaia di ‘mi piace’ [ndr quasi 90 mila questa mattina] e viene condiviso, fino a questa mattina, oltre 22 mila volte.

Servirebbero giorni per leggere ed analizzare, uno per uno, tutti i commenti al post di Morandi ed i commenti ai commenti ma, basta scorrerne qualche centinaio per registrarne l’enorme eterogeneità. Critiche feroci all’indirizzo del “ricco e famoso” di turno che fa la morale ad un “Paese ormai insofferente agli immigrati”, attacchi razzisti ed irripetibili rivolti agli immigrati “ladri, assassini e stupratori”, manciate di caratteri di egoismo, ignoranza e subcultura si confondono in un tutt’uno inestricabile con apprezzamenti ed elogi al coraggio ed alla sensibilità di Gianni Morandi ed a attestazioni di condivisione del suo punto di vista.

Difficile davvero dire se i commenti negativi siano in numero maggiore o minore rispetto a quelli positivi. La certezza è che sono tanti, più di quanti evidentemente si attendesse lo stesso Morandi che, pure, non è un neofita dei social network e sulla sua pagina Facebook con oltre un milione e duecentomila ‘mi piace’, ospita spesso discussioni e confronti animati. Ed è lo stesso Morandi, ieri, a dichiararsi, in un altro post, sulla stessa pagina “sorpreso dalla quantità di messaggi”, a dirsi impegnato a leggerli tutti ed a provare a rispondere ma, soprattutto, a confessare di non aspettarsi “che più della metà di questi messaggi facesse emergere il nostro egoismo, la nostra paura del diverso e anche il nostro razzismo”.

“A parte gli insulti, che sono ormai un’abitudine sulla rete – aggiunge Morandi – frasi come “andrei io a bombardare i barconi” o “sono tutti delinquenti e stupratori” oppure “vengono qui solo per farsi mantenere”, mi hanno lasciato senza parole… Magari qualcuno di questi messaggeri, ha famiglia, figli e la domenica va anche a messa. Certamente non ascolta però, le parole di Papa Francesco…”.

Nuovo post, nuova valanga di ‘mi piace’ [ndr oltre 60 mila questa mattina] e di commenti. Ma la storia, sin qui, è già nota ed è stata raccontata da tanti nelle ultime ore. L’occasione è, però, utile per qualche considerazione a margine della ‘lezione’ di Gianni Morandi o, meglio, dell’episodio che lo vede protagonista.

Una prima considerazione, probabilmente ovvia per molti, ma utile almeno per alcuni, considerato ciò si continua a leggere, vedere e sentire sui media che raccontano dell’odio esploso su Facebook a seguito del post di Morandi o dei social network come del più naturale ‘sfogatoio’ delle frustrazioni umane è che la pagina Facebook di Morandi ha fatto da cassa di risonanza, in eguale misura – ed anzi la sensazione è che alla lunga buon senso ed umanità abbiano prevalso su ignoranza ed egoismi – a commenti razzisti e xenofobi e commenti carichi di buon senso ed umanità.

I quasi novantamila mi piace sotto il primo post di Gianni Morandi – per quanto poco valga quel click sul pollice alzato – sono lì, probabilmente, a testimoniare che la più parte di chi ha incrociato le parole del cantautore ne condivide senso e spirito. Il social network si è dunque mostrato, una volta di più, strumento di comunicazione di massa neutrale rispetto al contenuto veicolato, capace di garantire visibilità allo stesso modo a frasi e pensieri ignoranti, volgari e violenti ed a parole ed opinioni dense di cultura, educazione e umanità.

Una seconda considerazione riguarda l’anonimato online, così spesso e così di frequente indicato come l’origine dei mali della Rete e come il viatico dell’odio e della violenza verbale che, spesso, si registra online. Le migliaia di commenti al post di Morandi intrisi di opinioni razziste e xenofobe, offensivi, volgari ed irripetibili sono ‘firmati’ con nome e cognome ed accompagnati da immagini che, nella più parte, conducono a profili Facebook di persone reali, in carne ed ossa, con tanto di foto delle loro famiglie ed indicazione del luogo nel quale vivono e/o lavorano e che, evidentemente, non provano vergogna alcuna a dare dei “ladri, assassini e stupratori” agli immigrati.

Due considerazioni, tanto per cominciare, che rendono auspicabile che, la prossima volta che se ne darà l’occasione, non ci si ritrovi ad additare i social network come responsabili di questa o quella nefandezza né a proporre l’eliminazione dell’anonimato online come ricetta ai mali della Rete. Si sbaglierebbe e si mancherebbe l’obiettivo, privando, ad un tempo, i cittadini di una straordinaria occasione di confronto, dialogo e democrazia con tutte le sue più naturali derive. Ma dalla storia di Gianni Morandi, viene fuori tanto altro e tanto di più.

Trova ad esempio conferma la circostanza che all’origine della diffusa anticultura razzista e xenofoba che penetra in fasce sempre più larghe della popolazione vi è un drammatico problema di mala-informazione. In migliaia di commenti, infatti, l’avversione violenta verso gli immigrati è ‘giustificata’ dalla circostanza che chi scrive trova inaccettabile l’ospitalità ed il trattamento ‘di lusso’ che l’Italia riserverebbe agli immigrati, il sussidio economico che garantiremmo loro, il fatto che questi ultimi si lamenterebbero della scarsa qualità del cibo che offriamo nei centri di accoglienza, la natura violenta e delinquente della più parte degli immigrati e via dicendo attraverso un interminabile percorso lungo il quale leggende metropolitane, credenze popolari, mezze verità ed assolute falsità si fondono in un magma insolubile alla cronaca quotidiana ed alla realtà.

Ed è significativo ritrovare postata, tra gli oltre sedicimila commenti raccolti dal post di Morandi, addirittura più volte, una delle più straordinarie bufale informative raccontata persino una volta in Tv da Roberto Saviano, ovvero una sedicente relazione dell’ufficio dell’ispettorato dell’immigrazione statunitense del 1912 in realtà mai scritta da quell’ufficio. Eccone uno stralcio, esempio sublime di quanto la cattiva informazione divenga benzina sul fuoco dell’ignoranza e della subcultura dell’odio razziale: “Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali[…] Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione“.

A navigare tra i commenti sulla pagina Facebook di Gianni Morandi si ha forte la percezione che non c’è speranza di trasformare il nostro Paese in una democrazia moderna e civile se non si interviene anche – e forse soprattutto – sulla leva culturale e, soprattutto, se non si innalza la qualità dell’informazione a disposizione dei cittadini.

E’ inutile continuare a prendersela con la violenza verbale, l’odio e l’ignoranza che rimbalzano sui social media e provare ad arginarli intervenendo a valle se non si affronta il problema a monte, lì dove prima di essere abbandonate lungo i rivoli dei social network certe idee ed opinioni maturano e si formano, spesso – forse troppo spesso – nell’ecosistema dell’informazione mainstream che amplifica, non sempre in modo obiettivo, documentato e ponderato singoli episodi relativi agli immigrati, raccontandoli come sintomatici di tendenze a delinquere, sottoculture, abitudini e tradizioni violente, dure a morire.

Sfogliare qualcuno dei commenti sotto il post di Morandi è, probabilmente, un esercizio da suggerire a chiunque abbia responsabilità nel governo locale o centrale, a tutti quanti fanno informazione ed ad ogni altro cittadino che voglia capire meglio e di più chi siamo e quale è la brace che cova sotto l’apparenza di un Paese normale.

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