Dare la precedenza al lavoro e rimanere in una città dove non ci si riesce ad ambientare o lasciare tutto e privilegiare la qualità della vita, sperando che la sorte porti con sé anche un buon impiego? Ogni mattina, quando si alza per andare a lavorare, Juana Romandini si pone questa domanda. Da sette anni a Manchester (adesso ne ha 32), non è mai riuscita a sentirsi “a casa” nella città che è il cuore industriale dell’Inghilterra. E sogna un ritorno in Italia: “Se ricevessi un’offerta di lavoro nel mio Paese tornerei di corsa”.

Quella di Juana è una storia che, per come è nata, ricalca molti racconti degli italiani che hanno fatto le valigie e hanno detto addio, o arrivederci, alla propria terra natale: poche opportunità lavorative, voglia di imparare l’inglese e dare una svolta alla propria vita l’hanno convinta a lasciare il mare e le spiagge di San Benedetto del Tronto, nelle Marche, con un volo sola andata per il Regno Unito. “Quando sono partita, nel 2008 – racconta -, ero disoccupata da circa due anni. A 25 anni, con una laurea in comunicazione e nessun lavoro, ho deciso che fosse arrivato il momento di espatriare. Inoltre, stavo finendo un libro ambientato a Londra e ho colto l’occasione per andare a conoscere i luoghi dei quali scrivevo”.

Per Juana, quindi, inizialmente fu Londra, ma le cose non andarono come si immaginava. “Ero aperta ad ogni tipo di lavoro – continua –, volevo concludere il mio libro e, poi, cercare un impiego nel campo della comunicazione. Finii a fare la lavapiatti e quello diventò l’unico lavoro che riuscii a trovare nella capitale inglese”. Ma un’opportunità di riscatto si profilava a Manchester. “Dopo qualche mese – ricorda –ho ricevuto un’offerta nel reparto customer care di un’azienda che opera nel settore della chimica. E’ una posizione lavorativa che non è proprio in linea con il mio background, ma mi garantisce un buono stipendio. Posso comunque dire che, dal punto di vista lavorativo, sono riuscita a ottenere dei risultati soddisfacenti”.

I problemi sono altri: Manchester è una città grigia, non molto ospitale, a differenza della multietnica Londra, e Juana non è mai riuscita ad inserirsi veramente. “Il clima – spiega – è terribile. In confronto, Londra sembra la Sicilia. Il suo essere città industriale, poi, accentua ancora di più questo aspetto monotono e cupo”. Caratteristiche che contrastano con quello che lei vorrebbe. Come, per esempio, stare all’aria aperta. “Nel suo caos e nella sua vastità – continua – Londra ti permette comunque di staccare per qualche ora. Puoi andare al parco, fare una passeggiata per le vie della città. Qui non è così. C’è così tanto cemento che quasi copre il cielo”.

Anche i rapporti umani, confida, non sono il massimo. “Mi ritengo molto fortunata – dice – perché a lavoro sono riuscita a integrarmi con il team. Ma fuori le cose cambiano. Qui le persone sono molto più ‘grezze’, poco amichevoli o socievoli. Sono meno abituati all’inclusione dello straniero, anche se negli ultimi anni le cose stanno cambiando. Per fare un esempio: a differenza della City, qui è molto facile vedere le persone quasi andare alle mani per delle stupidaggini. Si vive sempre in un clima di tensione, in una città che rispecchia a pieno lo stereotipo diffuso nei film tipo ‘This is England’. Se mi sento un po’ ostaggio di Manchester? Direi di sì. In fondo, sento che questo stile di vita non fa per me”.

Twitter: @GianniRosini

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