Il 16 aprile del 1945 mille bolognesi sfilarono per le strade della città sfidando una colonna di militari tedeschi in transito per chiedere la liberazione. Ogni anno la città rende loro omaggio. La partigiana Aude Pacchioni: "La nostra lotta importante come quella militare"
Carla Capponi, Irma Bandiera, Paola Del Din, Livia Bianchi, Gina Morellin. Ma anche le mogli, le madri e le sorelle rimaste a casa mentre i mariti, i fratelli e i figli spesso si trovavano a combattere tra le fila partigiane, o erano costretti a nascondersi, offrendo segretamente aiuto a chi sfuggiva all’esercito nazifascista. Sono i volti della Resistenza delle donne, staffette, combattenti, oppure semplici cittadine italiane che negli anni della Seconda Guerra Mondiale hanno lottato contro il nazifascismo fianco a fianco con i partigiani. E che, a 70 anni dalla Liberazione, sono ricordate come le fautrici della battaglia civile, “importante quanto quella militare per la vittoria del conflitto bellico”. Aude Pacchioni, nome di battaglia Mimma, figlia di antifascisti, gli anni della guerra li ricorda bene. Si unì alla Resistenza nemmeno ventenne, e non solo con i suoi genitori diede rifugio a tanti prigionieri fuggiti dal campo di concentramento di Fossoli, nel Modenese, ma lavorando per il Comune di Soliera riuscì a impedire a numerose famiglie di partigiani di venire scoperte, identificate e perseguitate.
“In diversi modi le donne hanno contribuito alla Resistenza – ricorda Pacchioni, presidente dell’Anpi di Modena, l’associazione nazionale dei partigiani – a partire dalle staffette”. Gli informatori e i corrieri, cioè, che tra le pieghe delle loro vesti nascondevano ora armi, ora messaggi da consegnare ai vari centri di comando militare dei partigiani. “Era un lavoro molto pericoloso – spiega Pacchioni – le strade che percorrevano, spesso a piedi, centinaia di chilometri sotto la pioggia o sotto il sole cocente, erano piene di postazioni delle SS o dei repubblichini, quindi non solo dovevano nascondere bene il loro carico, tra i vestiti oppure nei cestini della frutta o della verdura, col rischio di essere perquisite e poi scoperte in qualsiasi momento, ma per nessuna ragione dovevano mostrarsi nervose. Qualsiasi emozione sul loro viso era interpretata come sospetta, e dava luogo a un controllo. E quindi spesso alla cattura, o alla morte”.
Quando non consegnavano messaggi o armamenti ai partigiani, poi, andavano in cerca di medicine, viveri, abiti, si occupavano dei feriti, dovevano precedere i fascisti nelle città, e spesso finivano coinvolte nei rastrellamenti. Durante le marce di trasferimento erano in prima linea: “Le prime ad entrare in un paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche, e se fosse possibile per la colonna partigiana proseguire. Erano infaticabili e spesso portavano con sé la salvezza, la vita o la morte di centinaia di uomini”.
Accanto alle staffette e alle combattenti, come Irma Marchiani, nome di battaglia Anty, vicecomandante del Battaglione Matteotti della divisione Garibaldi “Modena”, però, c’erano anche altre donne che resistevano. “Il loro contributo fu più discreto, meno appariscente, ma altrettanto fondamentale. Durante la guerra, ad esempio, le donne furono chiamate a lavorare nelle fabbriche, e le operaie degli stabilimenti che fornivano le automobili ai tedeschi facevano attenzione a commettere molti errori. Il risultato? – sorride la presidente dell’Anpi di Modena – Quando i veicoli arrivavano a destinazione non funzionavano, erano inutilizzabili”.
Ma anche nascondere chi tentava di sfuggire all’esercito nazifascista, ai campi di prigionia, chi era perseguitato o doveva spostarsi tra i centri di comando della Resistenza fu compito delle donne. Quelle che non si arruolarono tra le fila partigiane, ma che rischiarono la vita, e spesso morirono, per offrire un rifugio a chi ne avesse bisogno. “Portavano da mangiare ai nostri ragazzi che combattevano in pianura o sull’Appennino, ospitavano i feriti, nascondevano i fuggiaschi. Non avevano alcuna protezione, perché in tempo di guerra nelle case c’erano solo donne, bambini e anziani, eppure salvarono molte vite correndo un pericolo terribile: l’esecuzione sommaria della loro famiglia, il rogo della loro casa”. Molte scesero in piazza a manifestare contro nazisti e fascisti, come le mille bolognesi del corteo del 16 aprile 1945, che sfidarono una colonna di militari tedeschi in transito per chiedere la Liberazione dell’Italia, ricordate nei giorni scorsi dall’appuntamento organizzato da Anpi e Cgil. Molte agirono nell’ombra, e non di tutte si ricorda il nome.
“Ai partigiani e ai combattenti sono state date delle medaglie, alle donne della Resistenza poco o nulla. E’ per questo che non bisogna mai dimenticarle, e che in occasione del 70° anniversario della Liberazione si deve parlare di loro” ricorda Pacchioni. Perché, per dirla con le parole di Ferruccio Parri, nome di battaglia Maurizio, partigiano e poi primo presidente del Consiglio a capo di un governo di unità nazionale, istituito alla fine della Seconda Guerra Mondiale, “furono la resistenza dei resistenti”.