Buona regola è giudicare i politici non per quello che dicono, ma da quello che fanno. Per questo è utile rileggere le dichiarazioni di alcuni esponenti della maggioranza sull’imminente riforma della legge elettorale voluta dal governo da loro sostenuto. Secondo Pier Luigi Bersani l’Italicum mette “in gioco la democrazia dei nostri figli”. Per Stefano Fassina il rischio è la dittatura della minoranza visto che chi “vincerà con il premio di maggioranza oltre a nominare il governo, potrà scegliere il presidente della Repubblica, i giudici costituzionali e controllerà gli istituti di garanzia”. Per l’ex ministro del Ncd, Nunzia De Girolamo – finalmente convinta della necessità di far scegliere agli elettori i loro rappresentanti – va invece spiegato al premier Matteo Renzi “che la democrazia prevede il voto del popolo”. Mentre per il solitamente mite Tito Di Maggio (Popolari per l’Italia) bisogna “salvaguardare la democrazia” anche a costo di far cadere l’esecutivo.
Il contenuto di buona parte di queste prese di posizione è da noi condiviso. Il Fatto Quotidiano, del resto, si batte da sempre contro il Parlamento dei nominati e, con incontri e raccolte di firme, da oltre un anno denuncia i pericoli contenuti nella riforma.
Questo però non basta per far apparire ai nostri occhi Bersani & C. convincenti. Nei giorni in cui in Italia si celebrano i 70 anni dalla Liberazione dalla dittatura e si ricorda il sacrificio di chi non esitò a morire per far rinascere la democrazia, stride la distanza tra le dichiarazioni e i fatti. Perché qui le parole sono tante, ma i gesti in grado di risvegliare l’opinione pubblica sono pochi. Nessuno pretende qualcosa di violento, intendiamoci. Ma se davvero i parlamentari anti-Italicum sono convinti della gravità della situazione, perché non organizzano manifestazioni di piazza e occupazioni delle aule? Perché non si dimettono in massa?
La risposta è tutta in una notizia del 14 aprile battuta dall’Ansa. Poche righe che svelano come gli elettori (almeno quelli della minoranza dem) si trovino di fronte a una gigantesca pantomima. Recita il dispaccio: “Gli esponenti di Area riformista (la sinistra Pd, ndr) in commissione Affari costituzionali della Camera, contrari all’Italicum, chiederanno di essere sostituiti per evitare di votare in maniera difforme dalle indicazioni del gruppo. Lo ha riferito Matteo Mauri a margine di una riunione”.
Dunque, anche dietro l’apparente cacciata di dieci membri della commissione, tra cui i big Bersani, Bindi, Pollastrini e Cuperlo, avvenuta il 20 aprile, non c’è stato nessuno scontro coi renziani. I dieci hanno volutamente rinunciato a far vedere i sorci verdi al governo. Hanno dimostrato che per loro l’Italicum non è “un problema di democrazia”, ma solo una questione di immagine. I regolamenti della Camera sono del resto chiari. L’epurazione di chi non è d’accordo col proprio partito non è contemplata. È prevista invece la sostituzione dei malati o di chi è inesperto rispetto alla materia trattata (per esempio le leggi fiscali). La commissione poteva quindi essere bloccata per settimane. Non senza conseguenze però. Un partito ha infatti tutto il diritto di prendere provvedimenti contro chi si ribella alla linea. Può sospendere e persino espellere. Ecco allora che il can can sulla legge elettorale della sinistra Pd si riduce a quel che è: una storia di scranni e poltrone. Quelle che alle prossime elezioni, nel nuovo Parlamento dei nominati, la maggioranza dem riserverà alla propria fasulla e tremebonda opposizione interna.
Da ‘Fatti chiari’, il Fatto Quotidiano, 25 aprile 2015