Può darsi che la mia sia solo un’impressione. Ma mi pare proprio che questo settantesimo anniversario della Liberazione sia stato celebrato in una maniera giusta, appropriata, partecipata e non retorica. Una cosa che non accadeva da anni, forse il miglior anniversario che io ricordi. Che cosa abbia determinato questo improvviso miglioramento, non saprei dirlo con certezza. Forse un fatto anagrafico, per cui a settant’anni si ottiene tutti di solito una naturale saggezza? O forse un fatto politico, la presenza di un capo dello stato capace di dire poche ma chiare, illuminanti parole? Difficile dirlo, sta di fatto che il clima culturale attorno al 25 aprile è cambiato.
Sono sparite quasi di colpo e quasi del tutto le varie scemenze cosiddette revisionistiche che affioravano negli anni scorsa in vista della celebrazione. Nessuno ha ripreso la tiritera dei morti che sono tutti uguali, cosa ovvia se riferita alla pietà del dopo, ma che non può valere, come qualcuno avrebbe voluto, per il prima, per chi combatteva a difesa del nazismo e per chi combatteva per abbatterlo. Nessuno si è più sognato di lanciare la proposta di trasformare la festa della Liberazione dal nazifascismo in una generica festa della libertà da tutte le oppressioni, come qualche bello spirito aveva pensato di fare qualche anno fa.
Alla buona riuscita della ricorrenza hanno contribuito in molti. I giornali hanno offerto pagine di rievocazione non banali, testimonianze originali, letture di una certa profondità. Non è potuta mancare in questa tendenza positiva qualche eccezione nei quotidiani “di destra” ancora alla ricerca di polemiche, di rivelazioni clamorose basate sul nulla. Ma sono apparse, questa volta, in tutto il loro anacronismo, velleitari esercizi di un revisionismo irriducibile che sembra più appartenere alla mania ossessiva che alla ricerca storica, un arroccamento all’interno di uno spazio immaginario chiuso che assomiglia sempre più al ridotto della Valtellina. Ma ancor più che dalla stampa, la lieta sorpresa è arrivata dalla televisione, proprio la famigerata televisione. Su varie reti, soprattutto tematiche, Rai movie, Iris, Sky cinema, è partita fin dal lunedì precedente una sorta di maratona cinematografica resistenziale. Lasciate in soffitta le fiction pasticciate sulle foibe o sul Sangue dei vinti che andavano di moda qualche anno fa, siamo così tornati a goderci la grande tradizione del cinema italiano civile, quello antico dei Lizzani e dei Vancini e quello più recente e non meno importante di Chiesa e Luchetti.
Addirittura Iris ha mandato in onda il film di prima serata preceduto da un’introduzione e seguito da un commento: una vecchia sana abitudine della buona televisione che si era perduta nella notte dei tempi. Il tutto si è concluso con una prima serata dedicata da Rai3 alla versione restaurata dalla Cineteca di Bologna di Roma città aperta, la stessa pellicola proposta negli stessi giorni nelle sale di tante città, così da colmare, per una volta, quel distacco tra la vita culturale del paese e una televisione chiusa nel suo mondo di cartapesta.
La sera del 25, poi, il gran finale, il programma di Fazio e compagnia in diretta dalla piazza del Quirinale e da vari altri luoghi simbolici. Ora è fin troppo presto per addentrarci, sull’onda delle grandi emozioni, dei brividi che ci ha dato, nell’analisi di un lavoro che non ho difficoltà a definire sublime, che ha scritto una pagina che entra direttamente nella storia della televisione. Piuttosto, visti gli esiti eccellenti sul piano dell’audience, vale la pena di porsi una domanda. La famosa, ormai cronica difficoltà dei sabati sera di Rai1, perennemente schiacciato dai tanto seguiti e altrettanto insopportabili prodotti di Maria De Filippi, non si può forse superare opponendo programmi di taglio completamente diverso, lontani dal pop e dal trash, non dico quello irripetibile del 25 aprile, ma qualcosa di simile, qualcosa con quello stesso profilo alto?
Un ultimo dato, per completezza di cronaca. Mentre su Rai1 andava in onda Fazio, anche Retequattro proponeva una rilettura giornalistica del 25 aprile dignitosa e interessante, opera di Paolo Del Debbio.
Insomma, sembra incredibile, ma quest’anno il 25 aprile ha fatto un mezzo miracolo, dando respiro e qualità a una televisione che da qualche tempo era in grande affanno. E pensare che solo qualche anno fa c’era qualcuno che lo voleva abolire, il 25 aprile.