Detto all’italiana: “Voleva rottamare ed è stato rottamato”. Voleva liquidare ed è stato liquidato. Nel giro di due settimane, quando aveva dichiarato di aver “preso le distanze da Winterkorn”, il suo ex delfino, Ferdinand Piech è passato dalle stelle alle stalle. Fino a ieri sera era il più pagato presidente del consiglio di Sorveglianza tedesco: 1,475 milioni di euro, quasi un quarto in più rispetto al 2014. Poi le dimissioni, sue e della moglie Ursula (insieme nella foto in basso), da qualsiasi incarico all’interno del gruppo Volkswagen.
Il nipote del fondatore di Porsche è rimasto isolato e ha preferito lasciare, malgrado sia uno degli azionisti singoli più importanti. Il paradosso è proprio questo: all’apparenza sembrano aver vinto le influenze più che le quote. E, di sicuro, almeno nell’immediato, è così: nel medio periodo è ancora tutto da vedere perché le ragioni del duro dissenso manifestato da Piech nei confronti di Martin Winterkorn non sono trapelate. Le speculazioni riguardano il cattivo andamento negli Stati Uniti, la scarsa redditività del marchio VW, i possibili ritardi sulle nuove tecnologie, i mancati risparmi. Nelle prossime settimane il gruppo andrà in cerca di nuovi equilibri. Nel sistema tedesco di governance, i sindacati sono estremamente forti e il loro supporto è stato determinante per sostenere il manager sfiduciato a mezzo stampa dal patriarca che ha così “oltraggiato” il ruolo degli altri amministratori. Poiché i lavoratori sono molti e votano, anche la politica, in questo caso Stephan Weil, governatore socialdemocratico del Land della Bassa Sassonia, azionista al 13% del gruppo, ma con il 20% dei voti e, soprattutto, diritto di veto, si è inevitabilmente schierata con loro.
L’ultimo tentativo di Piech di perseguire il suo obiettivo sarebbe stato quello di ricostruire una maggioranza familiare (le due dinastie, l’altra è quella dei Porsche, controllano quasi il 51% dei voti con il 32% delle azioni: 36 miliardi su 116 di capitalizzazione) per far votare il successore dell’amministratore delegato prima dell’assemblea del 5 maggio. A quanto pare inutilmente. Perfino l’ex cancelliere Gerhard Schroeder aveva preso le difese di Piech nei giorni scorsi. Fiato sprecato, pare.
Il paradosso del “caso Volkswagen” è che all’apparenza sembrano averla spuntata quelli che hanno influenza rispetto a quelli che hanno il capitale. Una situazione insolita. E di sicuro i Porsche, che sono stati determinanti in questa “sfida”, dovranno dimostrare di essere in grado di raccogliere un’eredità importante ed anche (positivamente) ingombrante. Gli scenari sono tutt’altro che chiari, perché sembra impensabile che uno come Piech, finora abituato a dettare legge, possa lasciare così, quasi senza “contropartita”. Aveva minacciato anche di cedere le proprie quote e quelle della moglie – si parla del 13% della Holding Porsche Automobil SE attraverso la quale le famiglie controllano Volkswagen AG – aprendo nuovi scenari sugli equilibri interni del gruppo.
Con Piech secondo Weil, decisamente loquace in questo periodo, lascia il gruppo uno che “senza esagerare, è tra le figure più importanti della storia economica tedesca”. Che è la ragione per la quale rimane il sospetto che ancora lo scontro non sia finito, ma solo spostato su un altro livello.