Lo scorso settembre ci siamo iscritti alla terza categoria del campionato di calcio Figc. È da lì che si comincia quando metti su una squadra. È quello che avevamo fatto noi. Alla squadra abbiamo dato il nome di Atletico Diritti e l’abbiamo registrata come una polisportiva nella speranza di aprirci un domani ad altre avventure e ad altri sport. Le associazioni Progetto Diritti, che lavora da tanti anni con le comunità immigrate, e Antigone hanno dato vita a una squadra di calcio dove ragazzi immigrati ed ex detenuti si allenano e giocano insieme settimana dopo settimana. A loro si sono aggiunti alcuni studenti di Roma Tre, poiché a quella università il nostro progetto è piaciuto e ha deciso di sponsorizzarlo.

Sembrava un gioco. Sicuramente lo è. Siamo decimi, ovvero quart’ultimi, nella classifica del campionato. Qualche volta vinciamo. Più spesso prendiamo quattro o cinque gol, entriamo in campo gasatissimi e usciamo discutendo animatamente su come potevamo spostare il gioco sulle fasce o al centrocampo. Ma dopo l’ultima tragedia non sarà facile tornare in campo con la stessa leggerezza.

Domenica scorsa abbiamo fatto un minuto di silenzio nel nostro campo romano del Quadraro prima di cominciare la partita. Non per tutti noi l’Atletico Diritti è davvero solo un gioco. I nostri amici calciatori immigrati sono arrivati in Italia sui barconi. “La squadra è diventata la mia famiglia”, ci ha detto tempo fa uno di loro. In questo anno di campionato abbiamo imparato ancora di più a conoscere con i nostri occhi cosa significa una vita salvata.

Nell’ultimo vertice di Bruxelles, l’Europa ha destinato 9 milioni di euro (prima degli almeno 750 morti al largo del canale di Sicilia erano solo 3) all’operazione Triton, un mix poco chiaro di pattugliamento e soccorso in mare. Si tratta di una cifra ridicola, tragicamente bassa, insignificante. La vita vale così poco per i nostri governanti europei. Vale meno degli ingaggi pagati ai propri calciatori da una squadra che naviga nelle retrovie della serie A.

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