Sul finire degli anni Settanta prendeva forma in Inghilterra un suono ibrido e pulsante, generato da una miriade di gruppi facenti parte di un sottobosco musicale estremamente sfaccettato; band la cui allure contribuì in maniera determinante alle fortune di un periodo musicale pressoché aureo.
È il caso dei The Sound, gruppo capitanato da Adrian Borland e proveniente da Londra. Dimenticatevi i Joy Division, evitate pure di confondervi con i Cure, i Sound – sebbene appartengano alla medesima cifra stilistica – ancora oggi restano un gruppo a sé stante, uno di quei rari casi musicali rimasti colpevolmente sottesi all’interno del caleidoscopico mondo della musica Post-punk.
E dunque perché parlarne oggi? Oltre a generare piacere per quei pochi che li hanno amati, proprio in questi giorni Adrian Borland moriva (il 26 aprile del 1999) e quindi raccontarlo diviene uno stimolo oltre che un atto dovuto.
Il cantante dei Sound era un personaggio ai margini del mainstream e di lui, della sua vita privata, poco si conosce: aveva una personalità schiva e sul palco non mostrava la tipica personalità che contraddistingue i grandi frontman del periodo; eppure, ripercorrendone le gesta, si scopre quanto testi e musiche abbiano sopperito a tale mancanza, segnando in ogni caso gli anni Ottanta e in particolar modo la New Wave.
Per “collocare” la poetica della band occorre fare un rapido passo indietro. Sappiamo che l’Inghilterra, all’epoca, era musicalmente cangiante; diversi furono i focolai disseminati in più parti. Londra rappresentava chiaramente il fulcro del movimento: oltre a Borland e soci, i P.i.l, Siouxsie and the Banshees, The Psychedelic Furs, giusto per citarne alcuni. Altre però erano le piazze in tumulto, come Manchester, la quale mostrava la propria versione apocrifa proponendo gruppi seminali quali Joy Division, Magazine, A Certain Ratio, Buzzcooks.
I Sound si formano nel 1979, dando alle stampe, l’anno successivo, Jeopardy, il primo disco. A quel tempo, a dominare, furono produzioni a basso costo, caratterizzate da suoni scarni ed essenziali, evocanti gli umori del punk, per quanto quella frenesia viene qui magistralmente contenuta trovando nei testi l’unica possibile via di fuga.
La stampa del tempo li celebrava, sebbene il successo commerciale restò una chimera: Borland subì pressioni da parte dei discografici, secondo i quali la sua musica avrebbe dovuto essere maggiormente fruibile dalla massa. Tre gli album a seguire: il capolavoro From The Lion’s Mouth (1981), il minore All Fall Down (1982), album che sancì a livello creativo la crisi della band superata brillantemente con i due dischi a seguire, l’Ep Shock of Delight (1984), seguito alla fine dello stesso anno da Heads And Hearts. La discografia inedita dei Sound si concluse con l’ottimo Thunder Up (1987).
Nessuno di questi lavori riuscì mai ad accontentare le aspettative dei discografici; i Sound provarono a restare fedeli a se stessi evocando gli stilemi di un pop raffinato, in bilico tra atmosfere new wave e una visione personale affatto scontata della musica.
Evitando di addentrarsi ulteriormente dentro dinamiche specifiche, è però possibile consigliarne in toto la discografia: giovani e meno giovani facciano lo sforzo e mettano mano al portafogli, i dischi dei Sound dovrebbero essere orgogliosamente esposti sugli scaffali della propria cameretta. Un impegno che certamente ripagherà e che ancora una volta potrà indurre a restare sereni: il futuro della musica è salvo, finché sarà possibile cercarlo tra le pieghe di un imponderabile passato.
Adrian Borland, cantante e persona normale, rifuggì i cliché di un mondo, quello della musica, che sentiva appartenergli solamente in parte. Continuò comunque a produrre dischi anche lontano dal gruppo, ognuno di questi marchiato secondo uno stile inconfondibile.
Negli ultimi anni di vita, optò per la solitudine, lontano dai riflettori e dagli eccessi scandalistici che generalmente regolano il mondo dorato delle rockstar. Si ritrovò a seguire le strade impervie di una vita in salita, dominata dall’inquietudine e dal malessere esistenziale che, nel corso del tempo, lo portarono a perdere la partita più importante: quella con la propria esistenza.
Sprofondato in una cupa depressione, il 26 aprile 1999, a soli 41 anni, Adrian Borland si tolse la vita gettandosi sotto un treno in una stazione di Londra. Restano di lui il lavoro di fine musicista e un insieme di parole, di note scolpite nel tempo e nella memoria di chi ha avuto modo di amarlo.
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