Non si ricorda quando ha cominciato a fare l’attrice, per lei è quasi un gioco, e non ci pensa neanche a immaginare la fine. Una passione naturale che probabilmente l’ha sostenuta nei momenti difficili della sua infanzia. Archiviata ormai da tempo Lucia de I Cesaroni, Elena Sofia Ricci si divide tra i più diversi personaggi tra cinema e televisione, anche se a breve tornerà ad essere, per la quarta stagione, ancora Suor Angela in Che Dio ci aiuti su Rai1. Per ora però è Olga nel secondo film di Giorgia Farina Ho ucciso Napoleone, ed è un personaggio davvero particolare.
Va bene che le piace interpretare personaggi diversi, ma da una suora a una cassaintegrata che spaccia ai giardinetti…
Ed è la ragione per la quale faccio questo mestiere, cioè cambiare continuamente, altrimenti è una pizza per me e per chi mi vede. Giorgia Farina mi piace molto e quando mi ha chiamato per questo ruolo ho pensato: “Ecco un’altra che ha visto in me la follia che mi contraddistingue” che poi è quella che fa sì che io mi butti in personaggi sempre tanto diversi tra di loro, cercando di portare a casa qualcosa di nuovo, di originale, che non annoi me stessa e il pubblico. Non sempre ci riesco, però ci metto sempre tutta la passione e l’amore che posso, quello sì.
E si è dovuta pure fare una canna, lei che ha smesso di fumare da 23 anni ormai…
C’è stata una storia con questa canna… io ho cercato di dire a Giorgia “senti ma ‘sta canna… io non fumo più, non possiamo fare che mi prendo qualche pasticca?” Ma lei mi guarda e mi fa: “ah no guarda, la canna non me la devi togliere perché veramente è una cosa stupenda, non si può eliminare questa scena, posso rinunciare a tutto ma alla canna proprio no” ed è stata irremovibile, così ho avuto gli incubi, sognavo di ricominciare a fumare per tutta la vita, ero preoccupatissima, poi invece è andato tutto bene.
Anche perché nel personaggio ci è entrata alla grande…
Per questo devo ringraziare anche mia mamma che mi ha fatto studiare in borgata, ad Acilia, vicino a Roma, dove mi sono formata pur essendo di Firenze, e dalla borgata ho imparato molto sulla vita e su quanto sono fortunata come persona. Così ho cercato di dare a Olga un po’ di quello struggimento, di quella profondità, di quella tenerezza di chi fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, di chi è rimasto solo, di chi è in mezzo a una strada e di chi è cassaintegrato e però, essendo donna, si dà da fare, si rimbocca le maniche e ha sempre quella scintilla di fantasia, genialità e capacità per rimettersi in gioco, tutte cose che le donne hanno più degli uomini.
Anche la solidarietà è donna?
Io credo che noi donne sappiamo essere tremende, siamo capaci di crudeltà assolute, possiamo essere delle iene senza precedenti, ma quando ci amiamo e ci troviamo tra noi, possiamo costituire un punto di forza davvero molto importante e unito.
A proposito di personaggi folli, anche Ferzan Ozpetek le ha assegnato personaggi non poco sopra le righe…
Io a Ferzan sarò grata per tutta la vita perché per primo ha visto queste mie potenzialità, questa mia follia e quindi veramente lo ringrazio tanto per questo.
Si ricorda l’inizio della sua carriera di attrice?
Io in realtà non ho mai visto l’inizio di questa carriera e non vedo neanche la fine. Nel senso che vorrei campare abbastanza a lungo e un po’ come la Borboni finire in teatro a novant’anni. Il mio è stato un percorso naturale, cioè quello della mia esistenza che è stata sempre così. Mi sono sempre esibita sin da quando ero bambina con i miei cugini, a casa con le amiche, con la danza, con la musica. Questa è la mia vita non è la mia carriera, ed è sempre stata così. Quindi io continuo a giocare, del resto come si dice in tutte le altre lingue del mondo, solo in italiano si dice recitare, e invece io gioco proprio.
E cominciò giovanissima dal teatro con Moliere.
Quella del teatro è stata la mia vera scuola. Amo moltissimo il palcoscenico e soprattutto recitare nei classici, perché ti mettono sempre un po’ con le spalle al muro costringendoti a crescere.
La sua infanzia non è stata facilissima, i suoi si sono separati e lei ha ritrovato suo padre solo dopo tanti anni. Si riflette mai tutto questo nel suo lavoro?
I miei genitori erano molto giovani e fragili e accecati del loro dolore si sono dimenticati di una figlia che aveva bisogno del padre, anche se era un uomo fragile e in difficoltà, come ho scoperto a trent’anni quando l’ho ritrovato, capendo tutte le cose che poteva insegnarmi e che mi ero persa odiandolo con tutte le mie forze, come mi era stato insegnato a fare. Potevo anche finire male, a vent’anni ero una ragazza a rischio, lontana mille anni dalla donna che sono ora. Ma quelle sofferenze mi hanno aiutato tantissimo nel mio lavoro, mi ritengo quasi fortunata ad aver attraversato momenti difficili nella vita ed esserne uscita perché sono crescite, crisi e opportunità di cambiamento. Il lunghissimo percorso di analisi che ho fatto, continuo a portarlo in scena da oltre vent’anni.
C’è qualcosa che nella vita le fa paura?
Ho paura della malattia e del dolore. Io poi ho due figlie, quindi sento tutta quella responsabilità di madre che mi lega a una preoccupazione costante nei confronti della mia famiglia.
Del tempo che passa?
No, di quello no. Però cerco come posso di tenermi in forma, e se non ho tempo per andare a correre in qualche villa, faccio dei giretti sotto casa come i cani, nel verde del mio condominio, perché qua la forza di gravità va contrastata con ogni mezzo e un po’ di ginnastica ci vuole. Del resto sono sempre stata una sportiva tra danza, sci, subacquea, e anche se tendo alla pigrizia, so che se mi siedo, alla mia età rialzarmi potrebbe essere difficile.