Prima di finire in galera per l’inchiesta sulle Grandi opere truccate, la coppia Ercole Incalza & Stefano Perotti ha lasciato a Roma un bel regalo. Un lascito del valore di almeno mezzo miliardo di euro di cui finora nessuno sapeva nulla, destinato però a sconvolgere la vita cittadina. Scavando buchi profondi nei bilanci dello Stato, della Regione Lazio e dell’amministrapiccola alla metro romana in costruzione. Hanno cambiato appena una parolina e al posto di “terminale” riferito alla futura stazione di piazza Venezia hanno messo “passante”.

Un giochetto di prestigio dalle conseguenze pesanti. Rendere passante la stazione di piazza Venezia significa che il tracciato non potrà più fermarsi lì, i lavori dovranno proseguire per forza perché in assenza di una stazione terminale i treni non potranno invertire la marcia. In pratica sono state create le condizioni perché tutti, a cominciare dal nuovo ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, siano messi di fronte al fatto compiuto. Dal momento che la Soprintendenza ha già fatto sapere di essere contraria alla costruzione delle stazioni lungo quello che un tempo veniva considerato il tracciato ottimale da piazza Venezia ad Ottaviano, cioè ha detto no alle fermate di Sant’Andrea della Valle, Chiesa Nuova e San Pietro, ciò significa che la Metro C dopo piazza Venezia dovrà proseguire senza fermate intermedie per circa 3 chilometri fino ad Ottaviano. Presumibilmente passando sotto il Tevere con un tunnel che i tecnici sentiti dal Fatto stimano debba essere scavato ad una profondità di una settantina di metri.

In pratica sarà costruita una metropolitana senza fermate dal centro al quartiere Prati andando ad intersecare la linea A. Con il risultato che un’opera utile rischia di diventare inutile considerando i pochi benefici che ne deriverebbero e i molti inevitabili costi da sopportare. La notizia della variante di piazza Venezia è stata affidata ad un comunicatino di Roma Metropolitane dai contenuti anodini passato praticamente inosservato. Il testo dice che la Struttura tecnica di missione (quella che era diretta da Incalza) è stata informata che “per contenere significativamente i costi dell’intervento occorre configurare la stazione Venezia come passante e non come stazione terminale”. Il che renderà necessaria un’ulteriore tratta dal Colosseo ad Ottaviano definita “minima”. In sostanza stanno ripetendo il giochetto sperimentato in passato per costringere tutti a non opporsi al prolungamento da San Giovanni a piazza Venezia, inoltrando i lavori sulla tratta T3, sotto il Colosseo e i Fori Imperiali, in un percorso sotterraneo tra i più delicati del mondo, dove ogni metro può riservare una sorpresa archeologica. In quell’occasione lo stratagemma usato fu più complicato. Consistette nello spostamento del tronchino di inversione di marcia dei treni da prima a dopo la stazione di San Giovanni (tuttora in costruzione), rendendo tecnicamente inevitabile il prolungamento del tracciato fino al Colosseo (tratta T3) e poi a piazza Venezia (tratta T3A). Con una spesa enorme (quasi 2 miliardi di euro) e un beneficio assai dubbio. Perché se ha poco senso un tracciato come quello in via di ultimazione dall’estrema periferia di Pantano fino a San Giovanni, non è che le cose migliorino prolungando il percorso fino a piazza Venezia.

Sono modesti i dati di traffico ufficiosi su quella parte di linea in funzione da Pantano a Centocelle (oggi viene presentato alla stampa il tratto Centocelle-via Lodi). I treni progettati per trasportare almeno 24mila persone l’ora, in realtà oggi ne trasportano non più di 20mila al giorno. Molti tecnici autorevoli oltre a Italia Nostra hanno consigliato ministero, comune di Roma e Regione Lazio di cambiare il percorso portando la linea C ad incrociare la B, magari non al Colosseo, ma al Circo Massimo. E lì fermarsi. Non li hanno mai voluti ascoltare.

Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 22 aprile

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