Economia & Lobby

Invimit: quasi pronto il carrozzone firmato da Tremonti

Fervono i preparativi per lanciare in pista una nuova “macchina da guerra”, pagata, nonostante i tempi di spending review, con i soldi dei contribuenti. La sua mission, quasi impossible, visti i magri risultati finora conseguiti, sarà quella di vendere e valorizzare parte dei 290 miliardi di patrimonio immobiliare pubblico. In attesa che la start-up controllata dal Mef – pure per effetto della recente accorata richiesta rivolta dal Mef allle Pubbliche Amministrazioni ed agli enti locali di segnalare immobili da vendere o da valorizzare – cominci ad operare ed a produrre risultati, della new entry nell’ampio alveo delle partecipate pubbliche crescono i costi di funzionamento.

Parliamo di Invimit, società che affonda le proprie radici in un decreto legge del 2011 di Giulio Tremonti, il re indiscusso della finanza creativa, che, nelle “disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” previste dal provvedimento, infilò anche l’articolo 33: “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze è costituita una società di gestione del risparmio, per l’istituzione di uno o più fondi d’investimento al fine di partecipare in fondi d’investimento immobiliari chiusi promossi o partecipati da regioni, province, comuni anche in forma consorziata o associata ai sensi del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ed altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti, al fine di valorizzare o dismettere il proprio patrimonio immobiliare disponibile”. E così è stato, poiché Invimit vede definitivamente la luce nel 2013, quando al Mef siede Vittorio Grilli, già braccio destro di Tremonti nella veste di direttore generale del Tesoro.

È lo stesso Grilli, poi, che poco prima di dare l’addio a via xx Settembre, designa i vertici tutt’ora in carica di Invimit: Vincenzo Fortunato nel ruolo di presidente, Elisabetta Spitz come amministratore delegato. Il primo, per oltre un decennio ministro ombra all’Economia, considerato uno degli ultimi boiardi di Stato e detentore del record di capo di gabinetto più pagato nella storia della Repubblica, gode di un appannaggio di 90 mila euro. Nel caso della Spitz, già direttore del Demanio ed ex moglie di Marco Follini – vicepresidente del Consiglio con Silvio Berlusconi primo ministro -, i compensi sono invece pari a 300 mila euro.

In Invimit troviamo poi Paolo Messa, già spin doctor di Follini, curatore della campagna di Raffaele Fitto alle regionali del 2000. Socio in affari nella società che controlla l’editore di Formiche di Enrico Vitali, storico e fidato collega di Tremonti nello studio commerciale Virtax, Messa si occuperà di comunicazione: 90 mila euro all’anno il costo della sua consulenza.

Invimit, ancorché non ancora operativa nonostante abbia ufficializzato nelle scorse settimane l’istituzione di quattro fondi immobiliari, ha già assunto sei dirigenti e assegnato consulenze, solo negli ultimi 7 mesi, per quasi 400mila euro. Oltre ai 90mila euro di Messa, spiccano i 93mila euro per attività di “supporto nella stesura del capitolato tecnico per affidamento servizi di facility e property, verifica delle attività svolte dai fornitori”, i 25mila euro dati ad uno studio legale per “supporto e assistenza nella revisione dell’organigramma, del mansionario e deleghe”, i 40mila euro assegnati per “supporto grafico e tecnico per la stesura della documentazione relativa ai costituendi fondi immobiliari”. Per la gestione dei contenuti sul sito web di Invimit, vengono invece spesi la bellezza di 36mila euro. Inoltre per avere “assistenza di carattere fiscale per l’attività di sviluppo dei fondi d’investimento immobiliare chiusi”, i vertici di Invimit sono dovuti ricorrere alla consulenza di un noto commercialista. Costo annuo: 37 mila euro.

Ma, al di là dei costi per le casse pubbliche, l’operazione Invimit appare singolare per un motivo che non poteva sfuggire a chi ne ha governato la gestazione ed il lancio sul mercato: sullo stesso terreno già opera da tempo la Cassa Depositi e Prestiti, attraverso società e fondi ad hoc, che perseguono le stesse identiche finalità oggetto della mission di Invimit. Il rischio serio, dunque, è che con Cdp si generino inutili concorrenze e dannose sovrapposizioni. Come si comporterà lo Stato una volta individuato un bene da vendere o valorizzare? Abbiamo posto la domanda al Mef, che ha gentilmente declinato e “passato la palla” all’Agenzia del Demanio. Che a sua volta non ha potuto che dare una risposta tanto evasiva quanto illuminante: “Dipenderà da caso a caso”. In base a quali criteri si deciderà caso per caso, non è naturalmente dato sapere.

@albcrepaldi