L’avevano ribattezzata la strada della legalità, un’etichetta che rischia di rivelarsi un boomerang. È la strada strada statale 640, tra Caltanissetta e Agrigento, che vede impegnate nei lavori di ricostruzione le aziende di Salvo Ferlito, presidente di Ance Sicilia, cioè l’associazione dei costruttori dell’isola: per lui la procura di Catania adesso ha chiesto il rinvio a giudizio. Ma Ferlito non è un imprenditore qualunque: fa parte di Confindustria Sicilia e rappresenta uno dei volti puliti che avevano lanciato la riscossa antimafia degli industriali dell’isola. Proprio per questo motivo l’accusa sembra quasi paradossale: truffa aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Come racconta il quotidiano Repubblica, è questo il reato ipotizzato dal procuratore aggiunto di Catania Antonino Fanara: Ferlito, titolare della Comer Costruzioni Meridionali spa, ha ceduto in subappalto ad un’azienda confiscata a Cosa Nostra i lavori di ricostruzione della strada nei pressi di Castel di Judica.
Una mossa che avrebbe causato gli errori degli amministratori giudiziari, non informati del subappalto, “con l’aggravante di avere commesso il fatto al fine di agevolare l’attività di Cosa Nostra”. La posizione dell’imprenditore sarà giudicata dal gip Rosa Alba Sammartino durante l’udienza per la richiesta del rinvio a giudizio fissata per il prossimo giugno: insieme a Ferlito sono imputati anche due funzionari della provincia di Catania, accusati di mancato controllo delle imprese impegnate nella realizzazione dell’opera.
Ferlito è l’ennesimo esponente di Confindustria Sicilia colpito dalle inchieste giudiziarie dopo aver fatto della lotta a Cosa Nostra lo slogan della sua attività imprenditoriale. Fino a pochi mesi fa, il suo vice al vertice di Ance Sicilia era Pietro Funaro, costruttore di Santa Ninfa, in provincia di Trapani, colpito da un sequestro di beni per 25 milioni di euro e undici società. Nella stessa inchiesta è finito anche Davide Durante, ex presidente di Confindustria Trapani, indagato dalla procura trapanese per aver sottratto 600mila euro dalle casse del consorzio Confidi, di cui era presidente. Beccato in flagranza di reato è stato invece Roberto Helg, presidente della Camera di Commercio di Palermo, paladino della lotta alle estorsioni, registrato mentre chiedeva una tangente da 100mila euro a Santi Palazzolo, un pasticcere che voleva rinnovare l’affitto di alcuni locali all’interno dell’aeroporto del capoluogo siciliano. Nel frattempo, il nuovo commissario di Confindustria a Siracusa, Ivo Blandina, è imputato per truffa ai danni della Regione Siciliana.
Rimane ancora sospesa invece la vicenda di Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità dell’associazione di viale dell’Astronomia, in passato leader della rivoluzione antimafia degli imprenditori isolani: dalla scorsa estate è indagato dalla procura di Caltanissetta per concorso esterno a Cosa Nostra. Dopo la diffusione delle notizie sull’indagine a suo carico, Montante si è dimesso dal direttivo dell’Agenzia per i beni confiscati, trincerandosi dietro il più profondo riserbo. Oggi torna a parlare dalle pagine di Press & Imprese, periodico edito da Confindustria. “È risaputo che la mafia agisce in due modi: uccide o si vendica screditando, cioè mascariando” scrive Montante in un editoriale titolato “Il prezzo di una scelta”. Un’autodifesa in piena regola, mentre al vaglio della procura nissena ci sono i racconti di cinque collaboratori di giustizia. Nel frattempo la catena di comando di Confindustria Sicilia viene piano piano travolta dagli avvisi di garanzia. Gli stessi uomini che per un decennio si erano visti riconoscere i gradi di paladini della legalità oggi finiscono iscritti nel registro degli indagati, accusati degli stessi reati che dicevano di volere combattere: un ferocissimo paradosso nella terra che ha creato il professionismo antimafia.