Il leader dei Massimo Volume propone un tributo a Emanuel Carnevali, una delle migliori voci poetiche italiane d’inizio Novecento, Iosonouncane dà vita a un album con una strumentazione molto ricca sia sul versante acustico che elettronico, dove il genius loci sardo diventa esso stesso strumento e verso poetico e infine Indian Wells, producer calabrese che conferma la sua vocazione da dancefloor
Quando la primavera decide di esordire con un’eclisse, non possiamo che prepararci ad una stagione che si preannuncia all’insegna della variabilità e della coincidenza degli opposti. E questa stessa sensazione la ritroviamo anche nell’ascolto delle migliori uscite indipendenti italiane apparse proprio tra marzo e aprile. Sono i grandi contrasti, infatti, ad essere alla base dei primi due titoli che vi proponiamo. Di contro, dall’ultimo disco si sprigiona una luce onirica, come un sogno diurno nato a margine dell’eclisse stessa.
“Notturno americano” (Santeria) è un tributo di Emidio Clementi ad Emanuel Carnevali, una delle migliori voci poetiche italiane d’inizio Novecento. Il leader dei Massimo Volume si era confrontato con lui, in un turbinante gioco di affinità elettive, già nell’album “Lungo i bordi” (1995), e poi ancora nel romanzo “L’ultimo dio”. La narrazione prende il suo via dal 1914, quando il poeta, ancora adolescente, parte da solo per New York. Non ha un quattrino in tasca, e quella che conoscerà sarà un’America “spietata con i miserabili”. Clementi, dalle pagine de “Il primo dio”, riprende questa discesa agli inferi dell’incubo americano: un cupio dissolvi tra povertà assoluta, schiene spezzate in lavori saltuari e nostalgia dell’Italia. Mimì ritaglia per sé solo l’apertura e la chiusura del disco, leggendo alcuni passi de “L’ultimo dio”. Il reading scorre sulle ipnosi slow-core di Corrado Nuccini e sugli archi di Emanuele Reverberi, che realizzano un supporto discreto eppure necessario alla narrazione, fondali che diventano partecipi del dramma che si consuma sulla scena. “Notturno americano” trasuda un’epica della memoria emarginata, dell’oltraggiosa oltranza della poesia nel ventre di un paese al buio.
Quello che invece compie Iosonouncane, al secolo Iacopo Incani, con “Die” (Trovarobato) è qualcosa che ci riporta alle contraddizioni simmetriche, al concetto di confine. Cinque anni dopo “La Macarena su Roma”, Incani trasferisce il suo immaginario sonoro nella natia Sardegna. Il titolo del concept rimanda alla morte e alla luce del giorno: una narrazione molto densa di una manciata di secondi interminabili dove un uomo sta per trovare la morte tra i flutti e la sua donna, dalla riva, teme di non rivederlo più. Incani offre una prova muscolare, non mostrandosi più come un dio solitario e sarcastico che maneggia frammenti di civiltà urbana (come in Macarena), ma confrontandosi con le verità ultime. Per farlo, chiama a sé una platea di collaboratori (il co-produttore del disco Bruno Germano, Paolo Angeli, Alek Hidell, Simone Cavina, Mariano Congia, Paolo Raineri, Serena Locci) e una strumentazione molto ricca sia sul versante acustico che elettronico, dove il genius loci sardo diventa esso stesso strumento e verso poetico. Le tracce “Tanca” e “Mandrie” parlano da sole, sbalordiscono per la capacità di ricondurre all’ordine elementi oppositivi, l’ancestrale e il postmoderno, cantu a tenore e drone, con una naturalezza mai suddita di mode transitorie. Iosonouncane dimostra di essere un fuoriclasse, e il tempo gli darà ragione.
Arriviamo alla placida quanto ballabile serenità di “Pause” (Bad Panda), seconda opera di Pietro Iannuzzi aka Indian Wells. Si era già fatto apprezzare – anche all’estero – per suo debutto “Night Drops” (2012). Adesso torna con una produzione di maggiore respiro (curata da Matilde Davoli) e una rapidissima presa all’ascolto. Il producer calabrese è parte integrante di una “scuola” elettronica italiana in cui figurano nomi come Populous, Godblesscomputers, Clap Clap (solo per citarne alcuni), rappresentanti in Italia della rivoluzione estetica dei vari Four Tet, Gold Panda e Mount Kimbie. “Pause” esplora questi territori, ma senza diventare mera operazione derivativa. I pezzi sono costruiti in crescendo, con tanto di cassa dritta, assecondando una vocazione sempre più dancefloor. L’ambient, primo amore di Iannuzzi, è invece il controcanto da cui dipanano i beat ovattati di “Games in the Yard”, con le chitarre di Yakamoto Kotzuga e la voce di Matilde Davoli. Sette tracce che ci confermano un vero talento in crescita, da seguire con interesse.