Musica

Gennaro Porcelli si racconta sulle note blues di ‘Alien in transit’

album-porcelliNel 2013 usciva Alien in transit, il secondo album di uno dei migliori chitarristi blues italiani, Gennaro Porcelli. Alien in Transit è il nome con cui, in America, vengono chiamati i prigionieri di passaggio. Un album che nasconde una storia incredibile e che è stato appena ripubblicato dalla Clapo Music di Claudio Poggi (primo produttore di Pino Daniele) e distribuito da Edel Italia.

Un lavoro dal respiro internazionale che si avvale della collaborazione di artisti del calibro di: Mark Epstein, Andj J Forest, Ricky Portera, Enzo Gragnaniello, Ronnie Jones, Rudy Rotta. “Ho messo da parte il ‘chitarrismo’ – spiega Gennaro Porcelli – per dare spazio agli arrangiamenti, raccogliendo le idee degli ultimi anni, sempre con un piede ben saldo nella tradizione Blues“.

Otto canzoni in cui gli inediti del chitarrista napoletano (I’m Here, La Giostra, Slim’s Walk, Immigration Man) ben si amalgamano alle personali riletture di classici come Woman Across The River di F. King qui cantato da Ronnie James, It Takes a Lot To Lough It Takes a Train To Cry di Bob Dylan, Dallas di J. Winter. Nell’album anche una intensa versione de L’erba cattiva di Enzo Gragnaniello cantata proprio dal cantautore partenopeo. Gennaro Porcelli oltre ad accompagnare da dieci anni Edoardo Bennato, è in giro con il suo progetto Gennaro Porcelli And Higway 61.

Ci racconti la storia di Alien in transit?

Quando nel 2010 sono stato invitato a suonare negli Stati Uniti come ospite da Mark Epstein e Vito Liuzzi al H. M. A. C. di Harrisbourg, all’aeroporto di Philadelphia mi hanno arrestato per presunta evasione fiscale e tenuto in galera per due giorni nella prigione federale della Pennsylvania. Dopo questa indimenticabile esperienza ho scritto insieme a Mark Epstein Immigration Man, brano che apre Alien in transit, dedicato al poliziotto che mi ha trattato come un delinquente solo perché avevo una chitarra a tracolla al mio arrivo negli Usa.

Come nasce la collaborazione con Gragnaniello?

Ad Enzo mi lega una grande amicizia, per me è il Tom Waits italiano. L’erba cattiva è un Blues e per questo l’ho rivisitato.

È scomparso da poco Pino Daniele. Cosa ha rappresentato per te?

Edoardo Bennato prima e Pino Daniele dopo hanno portato la musica Blues in Italia adattando i loro testi ad un suono d’oltreoceano. Pino Daniele è stato un grande appassionato di Blues. Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo e fare una piccola Jam nel suo studio di Roma e dalle note che uscivano dalla sua chitarra si capiva che amava davvero il Blues. Nei suoi testi emerge tutto l’amore/odio per la sua città e la rabbia nei confronti di un sistema corrotto. Il suo Blues mediterraneo è storia ed è arrivato ad essere apprezzato in tutto il mondo. Lo ringrazierò sempre per aver fatto conoscere il Blues a diverse generazioni.

Cosa è rimasto della cultura e dell’anima Blues nella ‘musica moderna’?

Come diceva Willie DixonThe Blues are roots, the other muisc are the fruits“, quindi se non ci fosse stato il Blues oggi, non ci sarebbe la musica che conosciamo. Tutta la musica moderna ha del Blues dentro, basta leggere i testi dei rappers che trattano gli stessi argomenti dei bluesman. Sono testi pieni di rabbia, sesso, ironia e anche violenza. Negli anni la rabbia nei confronti del sistema è immutata, sono solo cambiati i codici espressivi per denunciarla.

Cos’è il Blues per te?

È verità, mistero, pulsazione, sesso, amore, rabbia e non è detto che bisogna essere di colore per avere il Blues. “Il cuore di un bianco non è diverso da quello di un nero“. Sono cresciuto in periferia con tutti i disagi che comporta ed è forse per questo che sento la necessità di suonare il Blues.