“Thought I was a spaceman / Digging out my heart / In some distant sand dune / in Hyde Park”. La corsa al successo, gli attriti interni, le cadute, il processo creativo, la “fuga” di Damon Albarn in Africa e alla fine, quasi senza accorgersene, scivolare nel punto esatto dove la storia si era interrotta: “here again”, conclude Albarn nell’ultimo verso dell’appena citata “Thought I Was a Spaceman”. Inaspettatamente dopo sedici anni dall’ultimo lavoro con la formazione originale e dodici dal disco “Think Tank” che soffriva la dipartita del chitarrista Graham Coxon (presente solo in “Battery in Your Leg”), i Blur ritornano con “The Magic Whip”, ottavo album in studio. E il prossimo 20 giugno lo “spaceman” Damon Albarn farà ritorno – con i suoi Blur – nel luogo dove ha depositato buona parte del suo cuore, Hyde Park, uno dei più grandi parchi reali di Londra dove la band si esibirà per la quinta volta – l’ultima era stata in occasione della chiusura dei giochi olimpionici – confermandosi unico gruppo a poter vantare tale primato.
I dettagli del nuovo album – e la notizia della celebrazione di quest’ultimo con un concerto a Hyde Park – erano stati resi noti lo scorso febbraio, lasciando spiazzati fan e critica. Come è ormai noto, l’occasione per gettare le fondamenta del nuovo disco si presentò durante il tour del 2013 in Giappone, quando la band decise di trascorrere il tempo libero causato dalla cancellazione di alcune date, in uno studio improvvisato per l’occasione. Durante un’intervista a Steve Lamacq (conduttore radiofonico del sesto canale radio della BBC), Coxon ha ammesso che le session non furono semplici perché la band sentiva il bisogno di creare qualcosa di completamente nuovo e di conseguenza il processo non fu facile. Lo scorso novembre il chitarrista ha ripreso in mano le registrazioni, chiamando all’appello anche il manager dei primi album dei Blur, Stephen Street, mentre solo in un secondo tempo Albarn avrebbe completato il lavoro aggiungendo i testi.
Non ci si aspettava un nuovo album dei Blur e forse in molti non ne sentivano nemmeno l’esigenza poiché il nome della band resta ancorato ad una fase storica ormai passata, ma l’etichetta “Britpop” che da sempre viene attribuita alla band è oltremodo riduttiva. “The Magic Whip” è un ulteriore esempio della brillante progressione del gruppo, e questo continuo evolversi continua ad essere la caratteristica fondamentale dei Blur e di Albarn in particolare.
L’album è una miscela molto particolare che non manca di rimandare a sonorità tipiche della band: dall’iniziale “Lonesome Street” che possiede tutti gli elementi fondativi del suono Blur, a “Broadcast” e “Go Out” che sarebbero potute uscire da “13” e “Parklife”. L’influenza più grande è data dai percorsi musicali di Coxon e Albarn, soprattutto di quest’ultimo che lo scorso anno ha pubblicato il suo primo disco solistico, “Everyday Robots” (nominato al Mercury Prize), un album che in parte è stato anche un viaggio a ritroso nel tempo che ha permesso ad Albarn di scavare nel proprio passato, portando alla luce anche momenti bui. “New World Towers” sembra uscita da “Everyday Robots” non solo per le liriche ma anche per l’arrangiamento (che grazie alla chitarra di Coxon appare meno gelido e alienante). “My Terracotta Heart” è dedicata proprio al chitarrista (“And the bright Rays / We got in summertime / Seemed like a breath of fresh air / Back in the summertime / When we were more like brothers / But that was years ago”), mentre “Ong Ong” rimanda a un’infinità di altri brani ma allo stesso tempo riesce ad essere unica, “Pyonggyang” accoglie schegge di Brian Eno e la conclusiva “Mirrorball” grazie al riverbero e all’andamento della chitarra di Coxon, atterra su un deserto sconfinato. “The Magic Whip” è un continuo fluttuare di sonorità diverse e conferma nuovamente quanto Blur sia sinonimo di “cambiamento”.