L'assicurazione, introdotta nel 2001, costa 12,91 euro all’anno ed è rivolta a chiunque, dai 18 ai 65 anni, si occupa in via esclusiva e gratis della cura della casa e del nucleo familiare. Solo un quinto degli obbligati la paga e le condizioni per ottenere l'indennizzo in caso di infortunio sono molto stringenti
C’è quella più famosa di Voghera, le “disperate” della serie tv americana e poi c’è l’esercito composto dalle massaie italiane che, nonostante i tempi moderni, ammontano a oltre 7 milioni. Un dato, questo dell’Istat, che non solo la dice lunga su come sia difficile per le donne entrare nel mondo del lavoro, ma che fa accendere i riflettori anche su un altro aspetto: proprio tra le mura domestiche si annidano i maggiori pericoli che, tra cadute, ferite, scottature, scivoloni e soffocamenti, ogni anno causano oltre 2 milioni 800mila incidenti.
Un vero problema sanitario e sociale a cui lo Stato italiano nel marzo 2001, dopo 5 anni di rodaggio, ha cercato di dare una soluzione, istituendo presso l’Inail una polizza obbligatoria contro gli infortuni domestici per le donne e gli uomini tra i 18 e i 65 anni che “impiegano in casa le proprie energie in maniera abituale, esclusiva e gratuita”. Con l’obbligo di assicurazione esteso anche a studenti e pensionati che “svolgono in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione, lavoro finalizzato alle cure della propria famiglia e dell’ambiente in cui si dimora”.
Condizioni abbastanza chiare per una polizza che, però, funziona male tra numerose criticità e perplessità. A partire dal fatto che non si capisce quale sia il senso di assicurare obbligatoriamente una categoria che fa un non lavoro, è senza stipendio e non paga le tasse. E a distanza di 14 anni dall’entrata in vigore, le questioni sono ancora tutte aperte. Intanto c’è un calo verticale delle iscrizioni e, per via delle condizioni a dir poco stringenti, si registra un’enorme difficoltà nel riconoscimento dei danni. Ogni anno, invece, parte puntualissima la campagna di comunicazione istituzionale dell’Inail che cerca di sensibilizzare la sottoscrizione con spot televisivi, pagine di giornali e lettere spedite direttamente a un milione e mezzo di destinatari individuati mediante i dati acquisiti dall’Agenzia delle Entrate, proprio come sta accadendo in queste settimane.
Una mossa che, comunque, non dà nessun frutto, perché la cosiddetta “polizza per le casalinghe”, è evasa da un quinto degli obbligati che dovrebbero ammontare a poco più di 7 milioni, anche se l’Inail non è mai stato in grado di quantificarli. I numeri sono eloquenti con le sottoscrizioni che, anno dopo anno, sono andate sempre più in picchiata: si è passati, infatti, da 2.697.989 di iscrizioni del 31 dicembre 2005, a 2.161.214 nel 2008, a 1.878.843 del 2010, scendendo ancora a 1.596.802 del 2012, per toccare quota 1.249.304 a fine 2014 (con gli uomini in netta minoranza: circa 12.500). Un’evasione non giustificata neanche dall’importo da pagare. Fin dalla sua introduzione, il costo annuale dell’assicurazione è, infatti, rimasto sempre lo stesso: 12,91 euro, deducibile ai fini fiscali, da versare all’Inail entro il 31 gennaio. Con lo Stato che si fa carico della polizza di coloro il cui reddito personale complessivo lordo è di 4.648,11 euro, mentre per le famiglie il limite sale a 9.296,22 euro.
Ma c’è da dire che anche se si tratta di un piccolo importo, la somma viene chiesta in cambio di molto poco. Questa sorta di assicurazione grandi rischi tutela, infatti, solo i danni causati dagli incidenti domestici di una certa gravità. Si ha, quindi, diritto al risarcimento solo se l’invalidità permanente subita è pari o superiore al 27% (fino al 2006 era addirittura al 33%), che equivale almeno all’amputazione di tutte le dita di una mano. Decisamente una percentuale elevata, visto che chi si brucia col ferro da stiro oppure si rompe una gamba cadendo da uno sgabello mentre spolvera, perde il pollice destro o diventa completamente sordo da un orecchio non riceve nessun indennizzo.
L’Inail ha inoltre creato una tabella apposita, indicativa ma non esaustiva, in quanto la percentuale di invalidità viene verificata dai medici dell’Istituto, indipendentemente dalle altre certificazioni mediche. La procedura per l’indennizzo prevede, infatti, che solo a guarigione clinica avvenuta – e se l’infortunato è in regola con il pagamento del premio annuo – sia possibile presentare la domanda per la liquidazione della rendita con una commessione ad hoc che esaminerà il caso.
La restrizione ha fatto sì che nel corso degli anni siano state erogate solo mille rendite. In particolare, su 716 denunce arrivate nel 2014, di cui 8 per eventi con esiti mortali, sono state erogate 87 nuove rendite. E più entrate con quasi nessuna uscita a fine 2014 hanno generato all’Inail un residuo attivo di 5 milioni di euro. Tesoretto che potrebbe addirittura trasformarsi nell’equivalente di una piccola Finanziaria, visto che ogni anni vengano versati poco più di un milione di euro sui 90 milioni di euro previsti.
E non è tutto. Per avere diritto all’eventuale indennità, bisogna dimostrare di essersi fatti male svolgendo un lavoro domestico, perché qualunque altra situazione non strettamente legata alle faccende di casa non viene presa in considerazione. E, poi, agli assicurati, in caso di infortunio grave è garantita una rendita mensile a vita, il cui ammontare può oscillare dai 186,18 euro (invalidità del 27%) ai 1.292,90 euro (invalidità al 100%).
C’è poi il fattore età: se si superano i 65 anni, l’assicurazione non è più valida. Proprio quando, invece, solitamente aumentano i rischi di infortunio domestico. E questo spiega perché, ai fini di aumentare le adesioni, più volte sia stato proposto di innalzare il limite di età 70 anni.
Se l’assicurazione è snobbata e l’obbligatorietà resta solo sulla carta, l’Inail dal canto suo nulla fa per trovare chi evade: gli accertamenti sono complicati e le sanzioni previste non vengono applicate. E, comunque, la multa per mancato pagamento è uguale all’importo del premio non versato. La tattica fin qui utilizzata dall’Inail è sempre quella di promuovere la conoscenza dell’assicurazione piuttosto che sanzionare. Così, mentre l’Istituto accantona soldi per garantire le rendite future, la polizza viene sempre più percepita come una gabella fatta pagare a chi non ha un reddito.
Uno dei pochissimi adeguamenti fatti dal 2001 riguarda solo l’ampliamento – dal 17 maggio 2006 – della tutela assicurativa in caso di morte, prima esclusa, e che è pari a 2.132,45 euro. E, a partire dal primo gennaio 2007, sono stati previsti altri due benefici coperti dal Fondo vittime grandi infortuni nel caso di eventi mortali. Il primo prevede un’anticipazione della rendita ai superstiti pari a 3 mensilità, mentre l’altro è una prestazione una tantum che va da un minimo di 4.550 euro per un superstite fino a 15.750 per tre o più superstiti.