La famiglia nel paese controllava tutto: dalle estorsioni agli appalti pubblici fino alle squadre di calcio come la Rosarnese e l'Interpiana. Salvatore Pesce condannato a 27 anni e 6 mesi di carcere
Nonostante qualche sconto di pena e diverse assoluzioni, sulla cosca Pesce si è abbattuta scure della Corte d’Appello di Reggio Calabria. Almeno per quanto riguarda i vertici della ‘ndrangheta di Rosarno. Si è concluso stasera il processo “All Inside” nato da un’inchiesta della Dda che ha scardinato una famiglie mafiose più importanti e feroci. La sentenza è arrivata dopo quasi dieci ore di camera di consiglio. E i giudici di secondo grado hanno sostanzialmente confermato le condanne inflitte dal Tribunale di Palmi.
Alla sbarra c’erano 58 imputati che sono stati processati con il rito ordinario. L’inchiesta, coordinata in un primo momento dal sostituto procuratore Roberto Di Palma e poi dal pm Alessandra Cerreti, ha ricostruito l’organigramma della cosca Pesce facendo luce su una serie di estorsioni. Oltre che sulle intercettazioni e la tradizionale attività di indagine, l’impianto accusatorio si è arricchito delle dichiarazioni della collaboratrice Giuseppina Pesce.
La sua decisione di parlare è stato un vero e proprio terremoto nella ‘ndrangheta di Rosarno. Giusy Pesce, infatti, è la figlia del boss Salvatore Pesce, condannato a 27 anni e 6 mesi di carcere. Arrestata nell’operazione “All Inside”, dopo sei mesi di carcere a San Vittore, è crollata. Ai magistrati della Dda reggina ha confessato di aver svolto il delicato ruolo di collegamento tra il padre detenuto e gli affiliati ai quali dava indicazioni sulle estorsioni e sulle modalità che la cosca adottava per nascondere il patrimonio acquisito con le attività illecite.
Sposata e con tre figli, le sue dichiarazioni “analitiche e dettagliate” hanno consentito ai carabinieri del comando provinciale di svelare gli assetti criminali esistenti a Rosarno dove la ‘ndrangheta si serviva anche delle donne. Sono state condannate, infatti, Angela Ferraro (13 anni e 7 mesi di carcere) e Maria Stanganelli (7 anni) che, per i magistrati, era il tramite tra il boss detenuto Francesco Pesce e gli altri affiliati.
Stando all’inchiesta, a Rosarno i Pesce controllavano tutto: dalle estorsioni agli appalti pubblici fino alle squadre di calcio come la Rosarnese e l’Interpiana. Le risultanze investigative dei carabinieri sono state poi confermate dalle dichiarazioni di Giuseppina Pesce, anche lei imputata in questo processo per reati oggi andati prescritti.