Non ci sarà nessuno sgambetto. Anzi. Fatta eccezione per i vari Bersani, Cuperlo, Fassina, D’Attorre, Civati, Letta, Speranza, Epifani e Bindi, sull’Italicum quella del Partito democratico sarà una minoranza lealista. Stando infatti a un’inchiesta-sondaggio de ilfattoquotidiano.it tra i parlamentari di Area riformista, lunedì prossimo la nuova legge elettorale dovrebbe passare definitivamente senza intoppi, nonostante le proteste scaturite nel partito e manifestate dalla minoranza dopo la decisione del governo di porre la fiducia. Su 35 deputati dell’opposizione interna del Pd interpellati, 23 (cioè il 65,7%) hanno risposto che voteranno “sì” all’Italicum; uno soltanto ha annunciato il “no”(2,8%), mentre 3 si sono dichiarati incerti (8,5%) e 8 (il 22,8%) non hanno risposto.
LA CARICA DEI 50 La prova generale è andata in scena fra ieri pomeriggio e questa mattina, quando a Montecitorio gli articoli 1 e 2 del provvedimento hanno incassato –rispettivamente – 352 e 350 voti favorevoli, 50 dei quali arrivati proprio da Area riformista. Cioè la corrente che annovera tra le sue fila anche l’ex segretario e il capogruppo dimissionario. La quale proprio ieri, a ridosso della chiama, ha diramato per mano di Matteo Mauri – il deputato milanese che solo venti giorni fa, insieme ad altri colleghi, aveva chiesto che fosse ridotto il numero dei nominati fra i partiti che non prendono il premio di maggioranza – un documento in cui è scritto che “aver messo la fiducia sulla legge elettorale è un atto che si sarebbe potuto evitare”, però “far cadere il governo sarebbe una scelta irresponsabile e autolesionista”. E poi “non votare la fiducia non è una dimostrazione di coraggio” ma “una scelta politica”. Un chiaro attacco alla posizione oltranzista della “ditta” bersaniana.
PRONTI AL “SÌ” Visto l’andazzo, dunque, anche in sede di voto finale una discreta fetta dei 50 deputati di Area riformista è pronta a esprimersi in favore della legge, evitando a Matteo Renzi persino l’eventuale ricorso alla scialuppa di salvataggio dei “verdiniani”. Ma da chi è composta, nel dettaglio, la truppa dei “responsabili” pro-Italicum della minoranza dem? E cosa dicono esattamente in previsione del voto finale sulla legge elettorale? Ilfattoquotidiano.it ha provato a sentirli uno per uno. Con risultati sorprendenti. Scontato il parere favorevole dei membri del governo. “Se voterò la fiducia sulla legge elettorale? Certamente”, risponde Umberto Del Basso De Caro, sottosegretario alle Infrastrutture, in passato avvocato di Bettino Craxi. I “sì” arrivano anche dal sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, e da quello all’Economia Paola De Micheli. “A questo punto – dice anzi la deputata piacentina fino ad un anno fa fedelissima di Enrico Letta – credo che il provvedimento otterrà un’ampia maggioranza” nonostante si tratti di “una fiducia certamente complicata”. Secondo Fulvio Bonavitacola, fedelissimo del candidato governatore del Pd in Campania, Vincenzo De Luca, “quando la direzione nazionale e il gruppo parlamentare approvano un provvedimento a larga maggioranza poi si vota in modo disciplinato”. Per lui, quindi, “i deputati della minoranza interna che non hanno votato la fiducia hanno sbagliato: siamo un Parlamento, non un parlatorio”.
FORZA ITALICUM Citando Luciano Gallino e Zygmunt Bauman, Franco Cassano, altro esponente di Area riformista e in passato consigliere di Nichi Vendola (Sel), giustifica il suo“sì” affermando che “la dispersione del potere politico rende deboli”. Sarà. “Sono un uomo di partito, mi atterrò a quanto deciso nelle sedi deputate e dirò sì all’Italicum”, spiega invece Bruno Censore, deputato calabrese considerato – almeno fino a qualche ora fa– un bersaniano di ferro, secondo cui “era più logico puntare i piedi su altre tematiche, come il Jobs Act”. Risposte sintetiche ma esaustive arrivano dalla ligure Mara Carocci, dall’ex ministro dell’Istruzione del governo Letta, Maria Chiara Carrozza, e da Matteo Colaninno, l’ex responsabile economico del Pd bersaniano “licenziato” da Renzi poco prima delle primarie del 2013 che lo incoronarono segretario: “In sede di voto finale mi esprimerò a favore del provvedimento”, hanno risposto i tre a ilfattoquotidiano.it. Mentre il deputato veronese Diego Zardini, alla prima legislatura, trova l’Italicum addirittura “migliore di Porcellum, Consultellum e pure del Mattarellum”, quindi non si tirerà indietro. Il più tranchant di tutti è però Giacomo Portas. “Chi non vota è fuori dal partito”, attacca il deputato sardo, leader dei Moderati.
PER CHI VOTA LA CAMPANA Un “sì” forte e chiaro all’Italicum arriverà anche da Maria Gaetana Greco (una delle 6 deputate dem che in Aula a maggio dello scorso anno votò contro l’arresto di Francantonio Genovese), Colomba Mongiello, l’ex segretario del Pd in Toscana Andrea Manciulli, Giorgio Brandolin, l’ex segretario dei dem a Roma Marco Miccoli e il toscano Luca Sani, anch’egli alla prima legislatura: tutti iscritti a vario titolo in Area riformista. “Non credo che si possa definire la fiducia su questa legge un attentato alla democrazia, anche se poteva essere modificata”, dice a sua volta Micaela Campana annunciando il parere favorevole alla legge ma ribadendo che la sua “continua ad essere una posizione di salda minoranza”. Dario Ginefra, uscito allo scoperto da tempo – “Sull’Italicum si sta facendo tanto rumore per nulla”, disse a luglio 2014 – oggi mette addirittura in guardia il partito dalle “tendenze scissioniste” di alcuni colleghi. “Tutti coloro che hanno creduto nel Pd non possono sottovalutare che, nel dibattito di queste ore, emergono in modo sempre più incessante tentazioni di scissione di una parte della nostra minoranza”, spiega il deputato pugliese. Giurando così fedeltà alla legge elettorale di Renzi.
INDECISI A TUTTO Anche l’ex capogruppo del Pd al Comune di Roma, Umberto Marroni, considerato molto vicino a Massimo D’Alema, annuncia il sostegno sebbene con un distinguo: “Pur non condividendo il metodo ho votato la fiducia e voterò a favore della legge, ma proporrò le primarie per i capilista perché sono troppi”. Anche se tre mesi fa diceva: “Più che da esportare, l’Italicum è da correggere ridando a cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento”. Chi invece comunica il “no” alla riforma è Enzo Lattuca, classe 1988, il più giovane parlamentare di sempre, che accusa il presidente del Consiglio: “La prova di forza si rivela in realtà una prova di debolezza”. E ribadisce senza remore: “Avevo già annunciato il voto contrario al provvedimento, spero che saremo in tanti”. Però, dati alla mano, a meno di clamorosi colpi di scena, non sarà così. E così Donata Lenzi si iscrive alla categoria degli incerti: “Non ho ancora deciso”, dice. E sui tempi della decisione glissa: “Non c’è una scadenza”. Almeno fino al voto in Aula. Stesso discorso per Davide Baruffi, deputato originario di Carpi, un passato da coordinatore della segreteria provinciale dei Ds: “Vedremo, una cosa per volta”. Anche Vincenzo Amendola, responsabile esteri dei dem e fra i papabili per il ruolo di capogruppo a Montecitorio dopo le dimissioni di Speranza, seduto su un divanetto del Transatlantico non scioglie la riserva. Non hanno fornito risposta, invece, Salvatore Capone, Floriana Casellato, Gian Mario Fragomeli, Michele Meta (uomo di fiducia di Goffredo Bettini), Michela Marzano, Elisa Mariano, Daniele Montroni e Mario Tullo, tutti in passato schierati contro l’Italicun. .
BOCCIA CI RIPENSA Favorevole al “sì” è poi il deputato-giurista Giuseppe Lauricella, che pure il 31 gennaio scorso diceva: “La legge elettorale arriverà presto alla Camera, dobbiamo modificarla. O togliamo i capilista bloccati o diminuiamo i collegi o facciamo un listino sul piano nazionale”. Oggi, invece, secondo Lauricella ci sarà una convergenza più larga sul testo rispetto ai numeri che circolano. E, un po’ a sorpresa, “sì” all’Italicum anche da due big della minoranza da sempre critici verso Renzi: Francesco Boccia – che l’11 aprile aveva affermato che “se l’Italia non è davvero un Paese bipartitico, per la presenza di forze come il M5S, con l’Italicum rischiamo di ritrovarci più frammentati di prima” – e l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano.
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