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Tap, la Puglia contro il governo. Vendola annuncia battaglia: “Reagiremo”

Il contestatissimo gasdotto ha ricevuto ieri l’ok dal Consiglio dei ministri. L’atto destinato ad essere impugnato è l’autorizzazione unica che il ministero dello Sviluppo Economico ha in grembo e probabilmente varerà la prossima settimana. Il cantiere dovrà partire entro e non oltre il 16 maggio 2016

Si fa presto a dire Tap: il Consiglio dei ministri dà la sua benedizione al gasdotto con approdo sulla costa del Salento, ma ora si prepara la guerra di carte bollate. La causa attiene ai dubbi sulla procedura seguita. È stata adottata quella semplificata, nonostante non sia prevista per i metanodotti, esclusi dall’applicazione dell’art.57 comma 3 bis del DL 5/2012, così come modificato dall’ultima legge di Stabilità. Sull’acceleratore, però, si è spinto lo stesso. Il motivo? Si legge più volte nei verbali delle sedute convocate presso la Presidenza del Consiglio, come quella del 24 marzo scorso: “Nell’attuale fase, la tempistica deve essere ormai stringente per la strategicità dell’opera”. È la formula chiave che spiana la strada al progetto della Trans adriatic pipeline, l’infrastruttura che servirà a portare in Europa, via Lecce, l’oro blu estratto dai giacimenti di Shah Deniz, in Azerbaijan.

Ad annunciare che si procederà per le vie legali è stato il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, al termine della riunione di ieri: “Il governo userà una norma dello Sblocca Italia, ma noi troveremo il modo di reagire legalmente”. Lo ribadisce Marco Potì, sindaco di Melendugno (Lecce), il comune sulle cui spiagge da “bandiera blu” dovrà sbarcare la condotta: “Ci aspettiamo che Bari impugni il provvedimento, altrimenti ci penseremo noi”. L’atto destinato ad essere impallinato è l’autorizzazione unica che il ministero dello Sviluppo Economico ha in grembo e probabilmente varerà la prossima settimana. Dopo l’ok delle scorse ore, sarà quello il definitivo via libera al cantiere, che dovrà partire entro e non oltre il 16 maggio 2016.

È la Puglia l’unico fossato che Tap ha incontrato lungo il suo percorso, visto che ha trovato porte aperte in Albania e in Grecia. Un no ideologico? Non c’è solo la ragione di un territorio fragile da preservare sotto il profilo ambientale ed economico. C’è il nodo sicurezza, relativo all’applicazione della normativa Seveso, esclusa con decreto, tre settimane fa, dal ministero dell’Ambiente, con parere positivo anche dell’Interno. “Ma quel provvedimento – replica il sindaco Potì – è successivo alla chiusura della conferenza dei servizi avvenuta a dicembre e per noi è illegittimo”. Sarà questo uno dei punti della prossima battaglia giudiziaria.

L’altro, come si diceva, attiene all’iter seguito negli ultimi mesi di fronte alla presidenza del Consiglio dei ministri, ciò che ha blindato di fatto l’approdo contestato di San Foca. Perché si è arrivati a questo punto? Perché si era fermi nel pantano: la valutazione di impatto ambientale si è conclusa con il parere negativo del ministero dei Beni culturali, che ha affiancato quello della Regione, e quello positivo del ministero dell’Ambiente.

Ritenendo “inapplicabile la procedura di superamento del dissenso e il raggiungimento dell’intesa”, il ministero dello Sviluppo Economico ha passato la palla al governo. Per Bari, tuttavia, si è saltato un passaggio: il dicastero di Federica Guidi avrebbe dovuto demandare la decisione all’arbitrato tecnico, da insediare in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri. In quella sede si sarebbero potute cercare alternative alle spiagge di Melendugno. Una fase di proposizione “che il Mise non ha inteso aprire”, secondo la Regione, che rivendica la possibilità di proporre altre soluzioni, cosa che avrebbe potuto fare, a suo avviso, non negli anni della valutazione di impatto ambientale, ma solo nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica, “durato, in realtà, solo una riunione, quella del 3 dicembre 2014”.

Ecco perché questa è una battaglia tra Davide e Golia. Da un lato, gli enti locali. Dall’altro, gli interessi convergenti di multinazionale, Roma e Bruxelles. Di certo c’è che quel metano non servirà al fabbisogno nazionale, già soddisfatto allo stato attuale. L’obiettivo è geopolitico, “strategico”, appunto: trasformare l’Italia nella bombola del gas dell’Ue, soprattutto in caso di eventuale chiusura dei rubinetti russi. È l’apertura del “corridoio meridionale”, la strada per immettere sul mercato continentale 10 miliardi di metri cubi entro il 31 dicembre 2020, tempi dettati dalla Commissione Ue che, lo scorso 17 marzo, è stata categorica: le ruspe dovranno entrare in funzione nel giro di un anno.